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Ecotherapy Getaway Holiday - Recensione (Far East Film Festival 2015)

Shuichi Okita torna al Far East Festival con Ecotherapy Getaway Holiday, deliziosa commedia minimalista sulla maturità e la riscoperta dei rapporti umani. Un racconto vivace e divertente, con un cast quasi interamente al femminile

A pochi anni di distanza dalla sua ultima partecipazione al Far East Film Festival (A Story of Yonosuke, 2013), il regista giapponese Shuichi Okita presenta il suo nuovo lungometraggio Ecotherapy Getaway Holiday.
La storia è molto semplice, quasi essenziale: un gruppo di sette donne è diretto verso una località di montagna per un’escursione guidata a una cascata (il titolo originale del film è infatti il più evocativo Go See the Fall). Le accompagna una guida noiosa e maldestra (Daisuke Kuroda), che nel tentativo di orientarsi fra gli intricati sentieri finisce malamente col perdersi. Le protagoniste si ritrovano quindi abbandonate fra i boschi, con poco cibo e senza riferimenti. La situazione di inaspettata difficoltà offrirà loro un’occasione per confrontarsi con le proprie debolezze e manie, spingendole ad affrontare paure e ansie con ritrovata sensibilità e complicità.
Okita scrive una sceneggiatura che lavora per sottrazione, concentrandosi sui personaggi e l’ambientazione con estrema leggerezza, ma anche con una inaspettata profondità. La trama esile è un pretesto per mettere in scena con delicatezza e ironia ossessioni e frustrazioni della vita di sette donne, tutte diversissime fra loro. Elemento comune è la maturità (hanno tutte superato i quarant’anni) che porta con sé non solo problematiche fisiche, ma anche rimpianti e amarezze. Ed è proprio in queste sofferenze che si nascondono le potenzialità e i talenti inattesi delle protagoniste, capacità assopite trascurate dalla mancanza di fiducia e dall’indifferenza. L’aspetto più interessante è proprio l’emergere di queste singolarità all’interno dello sviluppo delle dinamiche del gruppo: dalla iniziale diffidenza e antipatia reciproca, si procede verso un’evoluzione che porta alla riscoperta del valore dei legami, dell’aiuto e del supporto reciproco. Okita è bravo ad alternare la dimensione collettiva a una visione più introspettiva e individuale: le gustose scene corali sono intervallate da momenti di intimità in cui si evidenziano le particolarità di ogni singolo personaggio (in tal senso appare funzionale e riuscito l’uso della musica da camera come accompagnamento sonoro in molte sequenze del film). L’ambientazione è un catalizzatore fondamentale di tutte queste metamorfosi interiori: sembra quasi che attraverso l’interazione con il paesaggio circostante le protagoniste siano disposte a guardare se stesse e gli altri con meno superficialità e più coinvolgimento. Adattando i loro tempi ai ritmi naturali, riescono a cogliere qualche dettaglio prezioso che prima sfuggiva, con una percezione accresciuta che aiuta ad emanciparsi dai vincoli invisibili della quotidianità, della terza età e della tecnocrazia. Il richiamo all’ecopsicologia nel titolo è un chiaro riferimento a questa fuga rigenerante nella natura, anche se eccessivamente elaborato per una pellicola che fa della semplicità la sua vera forza.
Okita dirige con cura seguendo con pudore i personaggi, affiancando ai normali movimenti di camera soluzioni dal taglio quasi documentaristico (molte inquadrature giocano sulla prospettiva e il punto di vista). L’integrazione del contesto paesaggistico sfrutta la fotografia pulita di Akiko Ashizawa, già collaboratrice di Kiyoshi Kurosawa. Forse la debolezza più grande del film è quella di vivere di episodi innestati all’interno di una trama troppo rarefatta per garantire uno sviluppo completo delle tematiche affrontate: l’ironia è spesso usata come addensante, ma non riesce a mascherare una certa dose di furbizia usata per costruire una comicità a volte troppo surreale per risultare autentica e spontanea.
Le attrici utilizzate sono quasi tutte alla prima esperienza sul grande schermo (le più preparate hanno lavorato principalmente nel mondo della televisione). Si è trattata di una scelta volontaria del regista, che ha lasciato i cast aperti a tutti, puntando sul coinvolgimento emotivo dello spettatore attraverso l’individuazione delle personalità che meglio si adattavano ai personaggi. Una decisione coraggiosa, ricompensata da alcune interpretazioni di sorprendente naturalezza (come quella di Haruko Negishi). Infatti la vitalità del film è proprio nel garbo discreto dei suoi personaggi, che senza esibire sfacciate rivendicazioni femministe riescono ad aprire una riflessione sulla donna e le sue infinite risorse (non a caso l’unico ruolo maschile è proprio quello della guida inesperta e incompetente).

Ecotherapy Getaway Holiday regala un ritratto delicato e divertente del mondo femminile, dipingendone con gusto e sensibilità la straordinaria ricchezza. Una pellicola semplice e aggraziata, che dispensa con efficacia risate ed emozioni.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Video

Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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