Farha - Recensione (Festa del Cinema di Roma 2021)
- Scritto da Simone Tricarico
- Pubblicato in Film fuori sala
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Siamo nel 1948. Il popolo palestinese è alla vigilia della cosiddetta “catastrofe”: la nakba, ovvero l’esodo forzato della popolazione a seguito della guerra civile scatenatasi alla fine del Mandato Britannico. La giovane Farha vive in un piccolo villaggio rurale, coltivando sogni di emancipazione dalle tradizioni locali che la vorrebbero già promessa in sposa. La ragazza, infatti, vuole studiare in città e diventare insegnate e, nonostante le pressioni di una comunità fortemente ancorata ai propri retaggi culturali, può comunque contare sull’appoggio di un padre severo ma comprensivo. Quando la guerra irrompe all’improvviso, Farha si ritrova prigioniera nella cantina della sua casa, testimone inconsapevole dell’orrore che progressivamente la circonda.
La regista e sceneggiatrice giordana Darin J. Sallam per il suo primo lungometraggio sceglie di raccontare una storia che la coinvolge personalmente, traendo spunto dalle reali testimonianze raccolte fra gli esuli della popolazione araba palestinese. Questo legame intimo è evidente nella forza con cui vengono messe in scena le atrocità del conflitto, senza risparmiare momenti forti che arrivano come un pugno nello stomaco dello spettatore. Tuttavia, l’evidente partecipazione emotiva dell’autrice si rivela spesso anche un limite, che si traduce in una struttura narrativa a tratti debole e discontinua, con situazioni risolte sbrigativamente e dinamiche relazionali fin troppo semplificate, al fine di dare maggiore risalto alle componenti più drammatiche del racconto. Se il contesto storico è infatti ampiamente delineato, quello più squisitamente umano manca a volte di profondità.
Darin J. Sallam dirige con sicurezza, muovendosi con abilità nella costrizione degli spazi chiusi in cui è ambientata l’ultima parte della pellicola. La regista lavora con efficacia su luci e suoni, alternando momenti più claustrofobici ad altri di introspezione, grazie al dualismo prigione/rifugio su cui riesce a costruire una tensione che giova alla tenuta complessiva del film. Discreta la prova del cast, nonostante qualche ingenuità dovuta alla giovane protagonista Karam Taher e alla caratterizzazione non sempre attenta dei personaggi.
Farha è un film che tratta in maniera sentita e autentica una pagina terribile di storia recente, non riuscendo però a mantenere sempre una sua coerenza narrativa interna. L’accostamento della dimensione più intima e personale a quella collettiva palestinese, pur non essendo esente da scelte a volte sbrigative e riduttive, restituisce una testimonianza forte e vibrante di un evento che ha segnato un intero popolo.
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Simone Tricarico
Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.