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Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left) - Recensione (Venezia 73 - In concorso)

The Woman Who Left - Film - Lav Diaz - 2016 - RecensioneCon The Woman Who Left Lav Diaz firma un poderoso affresco che indaga la fragilità della condizione umana con una forza espressiva straordinaria. L’ennesimo imperdibile lavoro di un grande cineasta contemporaneo

Filippine, 1997. In uno dei tanti penitenziari affollati del Paese (travolto in quel periodo da una delle massime ondate di criminalità), Horacia Somorostro (Charo Santos-Concio) sconta una pena ingiusta per un omicidio che non ha mai commesso. Le sue giornate trascorrono dando sollievo alle altre recluse ed educando i loro figli, esercitando con amorevole dedizione i rudimenti della sua ex professione di insegnante, l’unica attività che le permette ancora di conservare un retaggio della sua vita passata. Dopo trent’anni di detenzione, in seguito alla confessione di una prigioniera, Horacia viene scarcerata. Si trova quindi costretta a rimettere insieme i pezzi di una vita segnata da un vuoto apparentemente incolmabile, in cui si sono persi affetti e speranze. Sarà in grado di ricostruire un’esistenza recisa senza cedere a un naturale desiderio di vendetta, riannodando i rapporti con ciò che resta della sua famiglia?
Lav Diaz torna a indagare i temi cari della memoria e dell’identità a cavallo dei grandi cambiamenti storici, sfruttando il contesto socio-culturale in cui è ambientata la pellicola (siamo negli anni dell’handover di Hong Kong, segnati anche dalla morte di grandi icone della cultura popolare come Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta). Si tratta di riferimenti che si integrano in maniera sfumata nel racconto, contribuendo ad aumentare il realismo della messa in scena e la sensazione di un approccio tipicamente documentaristico. Tuttavia, a differenza di altri lavori precedenti, il regista effettua uno sforzo per dare una struttura narrativa più delineata e accessibile, articolando lo sviluppo della storia con grande attenzione.
Ispirandosi a un racconto di Tolstoj (Dio vede quasi tutto, ma aspetta) declinato a partire da vicende di cronaca della sua terra, Diaz scrive un potente saggio sulla natura umana, scandagliando sentimenti viscerali e assoluti, toccando argomenti dolorosi tra cui la perdita, il perdono e l’espiazione. Come spesso accade nella produzione dell’autore, il dipanarsi degli avvenimenti è subordinato all’esigenza di dover dar forma e concretezza alle emozioni, superando il concetto stesso di durata nell’ottica di fornire allo spettatore un punto di vista quasi in presa diretta sulla vita dei personaggi. Ecco perché sembra diventi possibile seguire l’evoluzione dei protagonisti, accompagnandoli nel loro percorso con un coinvolgimento a tratti totale.
The Woman Who Left (Ang babaeng humayo) è anche un film sulla ricerca e l’accettazione, sul bisogno di dare un senso agli eventi tragici dell’esistenza, attraversando difficoltà e cambiamenti sia fisici che psicologici. Emblematica è in tal senso la continua trasformazione di Horacia, i cui effetti (anche esteriori) sono addirittura spiazzanti per il pubblico. Diaz aumenta poi il senso di indeterminazione sfumando alcuni passaggi e sfruttando l’ambiente in maniera impeccabile, dilatando i tempi fino a sospendere l’idea stessa di finzione.
Tecnicamente la pellicola rinuncia ad alcuni stilemi tipici (come i lunghi piani sequenza), rielaborando il gusto per i lunghi stacchi di inquadratura. Diaz (curatore anche della fotografia e del montaggio) alterna sequenze frammentate a veri e propri tableaux vivants in cui l’elemento umano è quasi sovrastato dal contesto circostante. I personaggi non appaiono praticamente mai in primo piano (quasi a rispettarne la fragilità), spesso nascosti fra le ombre plastiche che sembrano inghiottirli. Ed è proprio la componente visiva a esibire una grande potenza espressiva, attraverso un sontuoso bianco e nero incredibilmente dettagliato in cui le immagini sono studiate con maniacale rigore. Eppure nella regia impeccabile non emerge mai un senso di artificiosità o costruzione estetica fine a se stessa, come se lo spettatore spiasse con discrezione i luoghi della vicenda osservando in disparte.
Pregevole l’interpretazione della protagonista femminile, supportata da una serie di attori di contorno che conferiscono autenticità e spessore ai rispettivi ruoli.

The Woman Who Left è un esempio prezioso di cinema fortemente evocativo, mai consolatorio e privo di retorica. Un cinema che, a dispetto di chi ne critica la difficile fruizione, si schiera paradossalmente dalla parte del pubblico, stupendo ogni volta senza scendere a compromessi, perché come scriveva Goethe: “Il più grande riguardo che un autore può avere per il suo pubblico è di non dare mai ciò che esso si aspetta, ma ciò che lui stesso, ogni volta secondo il grado di maturità propria e altrui, ritiene giusto e utile.”



Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4.5

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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