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Macbeth - Recensione

Macbeth - Film - Justin Kurzel - 2015Justin Kurzel porta sul grande schermo una rivisitazione violenta e crepuscolare della tragedia di Shakespeare. Un adattamento visivamente imponente, ma a tratti troppo superficiale e compiaciuto

Torna al cinema una delle tragedie più famose di Shakespeare, già trasposta nel corso degli anni da firme importanti come Kurosawa, Polanski e Welles. A cimentarsi questa volta con il famoso dramma è il regista australiano Justin Kurzel, reduce dal successo del suo pluripremiato esordio Snowtown (2011).
La sceneggiatura segue fedelmente la struttura classica dell’opera, riproponendo in maniera eccessivamente piatta e scolastica dialoghi e suggestioni del testo originale. Nonostante l'aderenza linguistica sia apprezzabile, la forza evocativa e travolgente di temi come la brama di potere e la pazzia non viene mai sfruttata a fondo, diminuendo di conseguenza il coinvolgimento emotivo dello spettatore. Questa rilettura viscerale e violenta è infatti più interessata all’impianto estetico della pellicola che non all’introspezione e all’analisi delle passioni che segnano ascesa e rovina dei personaggi. Tale intento si nota chiaramente a partire dalla scelta di immergere i protagonisti in un ambiente primitivo ed enigmatico, in cui la natura appare spesso impenetrabile e ostile, secondo una modalità che ricorda per certi versi le atmosfere sospese e inquietanti di Valhalla Rising (Nicolas Winding Refn, 2009). E in effetti il paesaggio gioca un ruolo essenziale nella messa in scena, ma diviene talmente sovraccarico di riferimenti da togliere significatività alle vicende rappresentate, quasi ribaltando la normale prospettiva teatrale. Paradossalmente questa è la maggiore debolezza dell’intero lungometraggio, gravato da una costruzione narrativa che fatica a mettere in risalto l’aspetto più intimo e introspettivo. Questa dualità fra ricchezza esteriore e povertà interiore è sottolineata anche dalla maestosa fotografia di Adam Arkapaw, che ritaglia spazi e corpi con un lavoro di luci realmente impressionante, riuscendo a ottenere una resa cromatica che valorizza le immagini con una consistenza quasi pittorica. Tuttavia questi elementi scadono di frequente in un atteggiamento oltremodo estetizzante, che conferisce al film una patinatura fin troppo ricercata. La regia di Kurzel segue questo tipo di approccio, esasperando l’aspetto visivo attraverso la reiterazione di alcune scelte discutibili (come i ralenti prolungati o le inquadrature fisse e ravvicinate). Anche le musiche contribuiscono ad amplificare l’idea di rigida artificiosità, principalmente a causa dell’uso ripetitivo e straniante dei suoni che, pur risultando disturbanti, falliscono nell’immergere il pubblico in una dimensione di vero disagio fisico e psichico.
L’evoluzione di Macbeth (il sempre bravo Michael Fassbender) non segue un climax drammatico efficace, passando in secondo piano rispetto al ruolo giocato dal destino: proprio il fato e la sua intangibile e indecifrabile ineluttabilità diventano i veri evanescenti protagonisti, operando tragicamente attraverso la morte (il lutto non a caso apre e chiude la pellicola). La prova del cast è sicuramente valida, ma le buone interpretazioni di attori capaci come FassbenderMarion Cotillard non sono state in grado di infondere autenticità ai personaggi. Una menzione particolare, però, merita il sempre affidabile Paddy Considine.

Macbeth è sicuramente un prodotto di innegabile fascino formale, ma fallisce nel conferire spessore e profondità alle vicende narrate. Le conseguenze dell’ambiguità del potere e i risvolti più terribili della follia umana sono indagati marginalmente, sacrificati a un impianto visivo che fagocitando ogni sentimento restituisce una trasposizione poco potente di una tragedia senza tempo. Una pellicola più commerciale di quanto non voglia apparire, che probabilmente proietta Kurzel già verso il suo prossimo adattamento: un film ispirato alla saga videoludica di Assasin's Creed.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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