Une Vie - Recensione (Venezia 73 - In concorso)
- Scritto da Davide Parpinel
- Pubblicato in Film fuori sala
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Inizio Ottocento. In Normandia Jeanne ha appena terminato gli studi. E' una giovane pura, innocente, sensibile, gioiosa e allegra. E' promessa in sposa a Julien de Lamare, nobile giovane di bell'aspetto. Appena convolati a nozze, l'uomo rivela la sua vera natura di dispotico, fedifrago, al punto di fare un figlio con una governate. La ragazza comincia così a incupirsi e nemmeno la nascita del figlio risolleva il suo triste presente. Intanto Julien viene ucciso dal marito geloso di una delle sue amanti, mentre il figlio di Jeanne cresce senza una guida. Quando al termine della sua vita la donna si trova sola, con il figlio lontano e pieno di debiti, capisce che le illusioni coltivate in gioventù non albergano più nel suo animo.
I temi affrontati da Stéphane Brizé nel suo nuovo film riguardano la crescita, il passaggio dall'infanzia spensierata e felice, alla vita adulta triste e cupa, nonché sola di Jeanne, interpretata da Judith Chemla. Ciò si esprime innanzitutto nella recitazione, la quale nella primissima parte del film è connotata da leggerezza e felicità, per poi nella seconda parte tramutarsi in toni aspri e duri e, infine, giungere alla supplica nell'ultima.
Poi c'è il montaggio che affianca l'infanzia di Jeanne alla violenza e alla nefandezza della sua vita adulta soprattutto quando la messa in scena propone i tradimenti del marito o la forza fisica con cui si impone su di lei. In questo modo lo spettatore comprende chiaramente che Une Vie è anche una riflessione sull'uomo e su come decide di esistere. Julien de Lamare, infatti, interpretato da Swann Arlaud, è sprezzante, falso e ambiguo e può permettersi tutto. Jeanne, i suoi familiari, il curato di famiglia invece sono più innocenti, credono nel cambiamenti dell'uomo, confidano nella possibilità che possa cambiare. Anche quando, infatti, la violenza, che si intuisce nell'atmosfera di rassegnazione e tristezza, si acutizza, la protagonista, ormai anziana, crede che le avversità si possano risolvere, che il figlio dopo essere scappato, torni a trovarla, che le istituzioni non le tolgano tutto a causa dei forti debiti. Questa è la condanna della ragazza: guardare all'avvenire con speranza, perché così le hanno insegnato i genitori, come si evince dai dialoghi e dagli sguardi con il padre. Per rendere ancora più chiaro questo aspetto, il regista nello svolgimento del film monta scene in cui Jeanne è intenta a coltivare la terra, da intendersi come metafora della sua capacità di far crescere, di investire nella vita.
Tutto questo apparato di significati è letteralmente rappresentato. La scelta di proiezione in 4:3, infatti, trasforma il film in un quadro in cui lo spazio di visione è paradossalmente ampliato. Brizé, giocando sul rapporto esterno-interno esplicato sia con voci fuori campo, sia in inquadrature che girano attorno ai protagonisti, riesce a far vedere letteralmente i corpi, li passa, attraversa i loro vissuti e i loro pensieri. Une Vie è dunque, un quadro tridimensionale in cui le figure recitano posizionate in 3/4 in modo tale da far percepire a chi guarda l'intero universo e stimolarlo alla ricerca visiva, all'indagine nello schermo di quei particolari che rivelano il mondo di disillusione di Jeanne.
Il film diretto da Brizé, infine, è un investimento visivo di una storia in costume ottocentesco che si imprime con forza grazie a una costruzione artistica pensata e sviluppata con coerenza.
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Davide Parpinel
Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.