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The Eremites (Die Einsiedler) - Recensione (Venezia 73 - Orizzonti)

The Eremites - Die Einsiedler - Film - 2016 - RecensionePrimo lungometraggio di finzione di Ronny Trocker The Eremites, presentato nella sezione Orizzonti della 73° Mostra del Cinema di Venezia, è opera dura e cupa che racconta la fine di una civiltà, quella silenziosa e isolata dei masi di montagna

The Eremites (Die Einsiedler), primo lungometraggio di finzione del regista Ronny Trocker (bolzanino di nascita ma di formazione poliedrica grazie al suo peregrinare cinematografico) presentato nella sezione Orizzonti della 73° Mostra del Cinema di Venezia, è opera che colpisce per la sua tetra lucidità non sempre facile da trovare negli esordienti, sebbene Trocker abbia al suo attivo numerosi cortometraggi e documentari.
Ambientato in Alto Adige, produzione austro-tedesca, The Eremites racconta la storia di una civiltà, quella contadina-montanara, in via di disfacimento al punto tale che l'opera appare prima di tutto una ricerca analitica antropologica che scruta volti, tradizioni, silenzi e isolamento che sono i cardini su cui si poggia appunto la cultura montanara dei masi e degli alpeggi.
Albert lavora in una cava di marmo, posto di lavoro sempre in bilico per le difficili condizioni economiche. Le sue origini sono montanare e mentre lui è sceso a valle a vivere i suoi anziani genitori sono ancora nel cadente maso abbarbicato sui monti. La sua vita si divide tra il lavoro, il silenzioso e scarno legame amoroso con Paola, un'addetta alla mensa della cava, e le visite ai genitori. Quando in un fortuito incidente il padre muore, la madre cerca di nascondere l'accaduto ad Albert, seppellendo in fretta e furia il cadavere nel prato prospiciente il maso, soprattutto perché lei, autentica matriarca indurita da una vita fatta di pastorizia, di gelo e di isolamento, teme che il figlio possa tornare a lavorare al maso lasciando la città.
Marianne, la madre, è colei che per prima ha capito che quello stile di vita, quella civiltà silenziosa e dura sta per morire e non vuole che anche l'unico figlio rimasto muoia a causa della montagna come fu per gli altri due sepolti da una valanga. Albert da parte sua, spinto dalla devozione verso i genitori, vorrebbe mantenere in vita quel pezzo di terra che è stato il loro mondo, ma gli eventi personali lo porteranno a rivedere la scelta in un finale simbolico che però lascia intravvedere uno spiraglio di luce.
The Eremites è lavoro cupo, a tratti duro, che con spietata lucidità certifica la fine di un mondo, della sua cultura, delle tradizioni, persino della fede: un mondo dove la durezza della vita ha portato al gelo nei sentimenti, alla rudezza e all'eremitaggio obbligato nella ricerca di mantenere le radici fisse nel terreno.
Al di là dei bellissimi paesaggi montani, il film di Trocker trova il suo pilastro narrativo più solido nella semplicità del racconto, sebbene il ritmo a volte raggiunga pericolosi livelli di guardia. Una semplicità che si fonde armoniosamente con una prospettiva dura e senza speranza e, soprattutto, evitando trucchetti di facile presa, lasciando semmai qualcosa di sospeso, da ricercare, in qualche metafora sparsa qua e là.
La scelta finale del protagonista dà una chiave di lettura su come superare la fine di una civiltà semplice ma fortemente sentita: una scelta libera da ogni condizionamento come può essere quella di salire sul primo treno che passa.

Da segnalare, a corollario di tutto, ma sicuramente cardine fondamentale del film, le prove dei protagonisti: se quelle di Andreas Lust (Albert) e Orsi Tóth (Paola) possiamo definirle buone, quella di Ingrid Burkhard nella parte di Marianne, personaggio da autentica tragedia classica, è straordinaria per forza e profondità.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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