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Koca Dunya (Big Big World) - Recensione (Venezia 73 - Orizzonti)

Koca Dunya - Big Big World - Film - 2016 - Reha Erdem - RecensioneUn ragazzo e una ragazza, cresciuti insieme come due fratelli in un orfanotrofio, fuggono dalla città per rifugiarsi in un bosco sperduto in cui muovere i primi passi da adulti: un racconto di formazione per il turco Reha Erdem, che prosegue il suo cammino nei territori di un cinema del realismo a forte carica simbolica in cui esplorare la lotta tra l’individuo e il destino a cui sembra condannato dall’ambiente in cui vive

Reha Erdem, regista quasi sconosciuto in Italia (se non tra il pubblico del circuito dei festival: alcuni suoi film sono stati infatti presentati al Festival di Torino e Roma) ma tra i più importanti autori della cinematografia turca, si è ritagliato una sua specificità nel cinema, con storie che riflettono sullo scontro tra gli individui e il destino a cui sembrano condannati dall’ambente in cui vivono (pensiamo ad alcuni lavori come Kosmos, Jin e My Only Sunshine), portandoci attraverso l’occhio della macchina da presa a esplorare luoghi poco conosciuti della Turchia. Big Big World (Koca Dunya), ultima fatica di Erdem, presentata nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2016, prosegue il percorso del regista esaltandone più i difetti che i pregi.
Al centro del film un ragazzo, Ali, e una ragazza, Zuhal, cresciuti insieme come due fratelli in un orfanotrofio. Non si capisce bene se tra i due ci sia un legame di sangue o se il loro sia un legame affettivo che funga da corazza per farsi forza a vicenda in un mondo in cui possono contare solo l’uno sull’altra. La scarsa somiglianza tra i due farebbe propendere per la seconda ipotesi; fatto sta che Ali e Zuhal si considerano a tutti gli effetti come un fratello e una sorella. Un giorno il ragazzo scopre che il loro legame potrebbe spezzarsi dopo che la famiglia adottiva di Zuhal ha promesso in sposa la ragazza a un uomo molto più vecchio di lei. Ali decide così di portare via con sé con la forza la sorella recandosi nell’abitazione in cui lei vive, ma il suo gesto lo induce a usare la violenza provocando il grave ferimento dei membri della famiglia di Zuhal. I due sono costretti a fuggire dalla città e a rifugiarsi in un bosco isolato, lontano da tutto e da tutti, in modo da far perdere le loro tracce, nella speranza (ingenua) che prima o poi la società si dimentichi di loro.
Erdem accompagna i protagonisti attraverso varie tappe di un percorso di crescita che li porta a muovere i primi passi da adulti nel mezzo di una natura sconfinata e rigogliosa, spettatrice silente che mette alla prova il sogno dei due ragazzi di vivere l’uno di fianco all’altra, in una sorta di unione con cui riscattare un passato di legami familiari negati. Ali e Zuhal devono costruirsi un riparo che sarà la loro casa, trovarsi da mangiare, procurarsi un mezzo di trasporto per superare le acque di un laghetto che li circonda nascondendoli dal mondo civilizzato, quello in cui si reca il ragazzo per guadagnare soldi con cui acquistare beni di prima necessità. In quello che sembra un piccolo eden Ali si traveste da uomo premuroso che si carica sulle spalle la responsabilità di provvedere ai bisogni della coppia, mentre Zuhal è la donna che lo aspetta amorevolmente a casa dopo la giornata di lavoro. La loro nuova vita li porterà a vivere spensierati, ma anche a confrontarsi ben presto con i sentimenti meno nobili del mondo adulto, il desiderio, la gelosia, l’inganno, che rischiano di mettere a repentaglio tutto quello che stanno costruendo.
Il regista carica di significati nascosti il processo di scoperta della vita da parte di due giovani impreparati alle sfide che li attendono, ma determinati a ribellarsi – pagandone le conseguenze – a una condizione di affetti segnata dall’abbandono trovando un illusorio nuovo inizio in un bosco di cui si sentono padroni ma che non è immune da una presenza esterna. Peculiarità del cinema di Erdem è il realismo condito da una forte carica simbolica: anche in Big Big World si consolida una cifra autoriale in cui spesso la quotidianità del narrato entra in una dimensione immaginifica che assume le fattezze di una parabola dal sapore fiabesco popolata da presenze metafisiche.

Un cinema che vuole essere imprevedibile e metaforico, ma che questa volta non trova una sua compiuta sintesi: la storia non sembra essere sempre al passo delle ambizioni, e molte scelte stilistiche (in primis l’uso di un commento musicale ridondante che immerge il film in un’atmosfera magica e misteriosa) e narrative (il simbolismo ricorrente di alcuni animali, tra cui capre e serpenti che entrano ed escono dall'immagine senza una precisa logica) risultano stucchevoli e finanche debitrici dell’immaginario dei fratelli Grimm (il bosco, i due ragazzi che devono superare delle prove per raggiungere la maturità…) e non aiutano il pur lodevole tentativo di raccontare, in una chiave originale, il classico racconto del passaggio all’età adulta.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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