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Planetarium - Recensione (Venezia 73 - Fuori Concorso)

Planetarium - Film - 2016 - Rebecca Zlotowski - Recensione Natalie Portman e Lily-Rose Depp interpretano due spiritiste alle prese con le loro esistenze e l'imminenza del secondo conflitto mondiale. Le scene sono ottime, l'atmosfera è resa perfettamente, ma la vicenda diretta da Rebecca Zlotowski scricchiola e difetta in molti momenti

Kate e Laura Barlow sono due spiritiste americane. Si trovano in Europa, per mostrare in serate e commissioni private il loro potere con cui rievocano vecchi spiriti e fantasmi. In una di queste esibizioni incontrano André Korben, produttore cinematografico sempre alla caccia di innovazioni e nuovi spunti per il cinema. Rimane affascinato dal potere magico delle due sorelle tanto da chiedergli di utilizzarlo in un film. Mentre le riprese vanno avanti, Laura scopre la vita oltre allo spettacolo e la sua professione, mentre la giovane Kate è presa sotto la benevola custodia del vecchio Breton, il quale non riesce più a fare a meno delle sedute spiritiche in cui evoca una persona a lui ancora molto vicina. E', inoltre, intenzionato a interrogare la scienza a riguardo del potere della ragazza, per cercarne di capirne l'origine. La vite delle due sorelle sono destinate a dividersi, mentre sullo fondo l'Europa si prepara al conflitto mondiale.
Il mondo descritto da Planetarium è in evoluzione e si caratterizza per essere un insieme di stimoli, spunti, visioni, avvenimenti di cui con difficoltà ci si rende conto. Nello specifico il produttore Breton, interpretato da Emmanuel Salinger, infatti, non avrebbe mai pensato di poter ringiovanire il suo cinema con lo spiritismo. A tal riguardo nemmeno i partecipanti alle serate spiritiche delle sorelle Barlow avrebbero mai pensato che questa sorta di magia occulta potesse essere così efficace. In ultima istanza Laura, Natalie Portmane Kate, Lilly-Rose Depp, non avrebbero immaginato che nel loro peregrinare per il mondo alla ricerca di un lavoro, avrebbero potuto trovare a Parigi la possibilità, in due modi diversi, di poter godere delle loro vite liberamente. Infine nessun cittadino europeo avrebbe mai pensato di stare per incontrare la devastazione della guerra considerando le ferite ancora poco rimarginate della Prima Guerra Mondiale. Questo è, pertanto, l'universo a cui si ispira Rebecca Zlotowski e in questa cornice ambienta un mistero, una ricerca di qualcosa di nuovo e diverso di cui nessuno dei componenti è conscio. Tecnicamente ciò si sviluppa in inquadrature sospinte dalla musica, in cui la macchina da presa trascina le vite dei protagoniste in continue scoperte. Proprio quando queste affiorano, quando si evincono le nuove conquiste di vita dei personaggi, la Zlotowski inserisce una dissolvenza centrale che si conclude in uno schermo nero come si soleva fare nei film di inizio secolo. Il mondo di questi anni, infatti, è lo sfondo ben descritto dalla regista che seleziona costumi, musiche e arredo di perfetto gusto e restituisce l'aria frizzante cavalcata e assaporata dai ceti più abbienti nelle loro esotiche e interminabili feste bagnate da fiumi di champagne.
Se quindi l'apparato scenico funziona, Planetarium difetta nello sviluppo della storia. Nella prima parte, infatti, la regista pone le basi per quella che sarà l'evoluzione della vicenda, illustrando e incrociando le vite dei tre protagonisti. Quando, però, le loro esistenze si evolvono è percepibile un blocco, un momento in cui non è comprensibile come la vicenda possa continuare. A limitare i danni ci pensa la storia presa a spunto dalla Zlotowski al fine di proporre l'origine ebraica di Korben che incrina qualsiasi possibile futuro.

Se, dunque, Planetarium vuole essere una riflessione sulla paura del diverso, sulla catastrofe imminente, pare un po' troppo superficiale. Se vuole essere un omaggio a chi ha saputo guardare avanti e investire sull'ignoto, come Korben, appare poco riuscito. Se vuole essere un omaggio al cinema e alle sue evoluzioni, appare opportunista. La pellicola diretta dalla Zlotowski è una 'chicchetta estetica', un romanzo in immagini, ben costruito, fascinoso e avvincente, ma l'impianto di facciata non riesce a tenere sempre viva l'attenzione dello spettatore. 


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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