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Happy Together (Versione restaurata) - Recensione

Terzo capitolo della monografia dedicata a Wong Kar Wai, esce in sala Happy Together, l'opera che consacrò il regista anche in Occidente grazie alla Palma d'Oro per la regia ottenuta al Festival di Cannes

Il terzo capitolo della monografia dedicata a Wong Kar Wai che presenta alcuni dei suoi lavori in versione restaurata e che sta riscuotendo un grandissimo successo persino al botteghino (apriamo qui una parentesi per invitare tutti ad una riflessione sulla natura di questo successo di pubblico) vede l’uscita sul grande schermo di Happy Together, film del 1997 che si pone probabilmente come il vero punto di svolta nella cinematografia del maestro di Hong Kong.
Il 1997 è infatti l’anno dell’handover che riportò Hong Kong sotto la sovranità cinese e che vide al contempo, chissà quanto casualmente, la fuga cinematografica del regista verso un paese lontano, quasi alla fine del mondo come per molto tempo è stata considerata l’Argentina; ma il medesimo anno è anche quello che consacrò l’arte di Wong in tutto il mondo grazie alla Palma d’Oro ottenuta al Festival di Cannes per la miglior regia, primo riconoscimento ottenuto al di fuori di Hong Kong e dell’Asia. Da allora il linguaggio cinematografico del regista si aprì maggiormente all’Occidente e tre anni dopo sarebbe stato sublimato in In the Mood for Love, Palma d’Oro anch’esso, che per molti rimane il capolavoro assoluto.
Happy Together, quindi, pur non essendo il lavoro migliore di Wong, acquisisce una importanza fondamentale nel suo percorso cinematografico: la scelta estrema di abbandonare Hong Kong e di girare una storia completamente ambientata in Argentina, unita alla tematica di un amore omosessuale tribolato e disperato, in fuga dal mondo alla ricerca di una felicità che non arriverà mai, fanno della pellicola un'opera struggente, dolorosa, ma profondamente intrisa di una poetica spesso sporca, carica di autodistruzione, lacerante magnificamente messa in scena da tre attori non a caso tra i più grandi del cinema cinese in senso lato: il mai tanto rimpianto Leslie Cheung, il fidato Tony Leung Chiu Wai e il giovane Chang Chen destinato anch’esso a una carriera splendida.
Leslie e Tony scappano in Argentina per trovare una via che porti alla felicità per la loro relazione che vive di alti e bassi, momenti d’amore e scatti di rabbia, che si pone come traguardo le cascate dell’Iguazu, il trionfo della natura primordiale e della sua spettacolare violenza. Troppo diversi i due: uno votato ad una  bulimia sentimentale che lo porta a fugaci e a volte anche squallidi rapporti saltuari, l’altro invece più fedele al suo compagno, ma non per questo meno disperato nella sua impossibilità a vivere in maniera completa il suo rapporto amoroso.
La fuga in Argentina è l’estremo tentativo di salvare il loro amore, ma forse entrambi già sanno che l’approdo alle cascate, meta del viaggio ed idealmente punto d’arrivo del loro percorso sentimentale, non sarà possibile, semplicemente perché il loro amore è già morto, vive di sussulti, di spasmi di agonia, di scontri alternati a brevi ma intensissimi momenti di tenerezza, di cinema porno e di gabinetti pubblici dove abbattere la solitudine che li attanaglia: Happy Together scrive le pagine sugli amori tribolati che già in Ashes of Time abbiamo visto e che, con maggior senso poetico tradizionale, approderanno in In the Mood for Love.
La scelta di Wong è quella di raccontare un rapporto amoroso, nel quale ad un certo punto, con la dovuta ambiguità, si inserisce un terzo elemento, nello stesso modo che abbiamo già apprezzato nei lavori precedenti: il bianco e nero che si alterna ai colori di Christopher Doyle, il cui splendore, ottimamente accentuato dal restauro, regala immagini cariche di emozioni, il buio umido di un'Argentina spesso livida, le note di Caetano Veloso, di Astor Piazzola, di Frank Zappa e ovviamente l’Happy Together dei The Turtles che inseguono i nostri protagonisti.
Ed infine la meta finale del viaggio, tema che ritorna sempre nei film di Wong Kar Wai, il luogo simbolico dove liberarsi degli affanni e da dove ripartire, perché comunque il finale dell’opera lascia uno spiraglio di speranza, un possibile punto di ripartenza da dove riprendere il cammino con le seppur poche forze rimaste. La meta, il viaggio, la ripartenza, la solitudine: l’opera di Wong vive intorno a questi momenti della nostra esistenza e la sua narrazione che diventa poesia percorre i sentieri dei sentimenti che ribollono, seppur sommessamente, nell’animo umano.

La versione restaurata, anch’essa come tutte sotto la supervisione di Wong stesso, inserisce anche qualche breve scena nuova che nella versione originale, per motivi legati alle tematiche, fu messa da parte e rafforza ancor di più lo spessore artistico dei due attori protagonisti nel recitare nelle scene più esplicite: d’altronde Tony Leung e Leslie Cheung sono a modo loro due icone immortali del cinema orientale, il primo grazie ad una carriera splendida che lo ha portato a lavorare con i registi più importanti, il secondo oltre che per la sua smisurata bravura a 360°, per il mito che si è creato intorno a lui dopo la tragica morte.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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