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White Building - Recensione

Opera prima per un promettente regista cambogiano che, tra realtà e finzione, descrive il presente di un ventenne alle prese con i mutamenti della società cambogiana in uno scontro tra tradizione e contemporaneità. Premio per il miglior attore protagonista del concorso Orizzonti alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia

A Phnom Penh in Cambogia si erge maestoso il White Building, un edificio storico, pericolante, mal tenuto, diroccato in cui abitano diverse famiglie. Tra queste c’è quella del ventenne Samnang e dei suoi due amici. Hanno un sogno: diventare dei ballerini professionisti di hip-hop, cercando di arrivare al successo grazie a un talent show televisivo. Il sogno si incrina quando uno dei tre ragazzi è costretto ad abbandonare il White Building, perché il comune vuole abbatterlo, all’interno del piano di rifacimento estetico della città. Anche Samnang deve abbandonare l’edificio e la sua famiglia cerca un compromesso sul prezzo di vendita che gli permetta di acquistare una casa in città. Il mondo di speranze, certezze, possibilità del giovane protagonista si disgrega e ciò che gli rimane è restare a fianco del padre e della famiglia, senza, però, perdere la speranza di una vita migliore.
Per il suo primo lungometraggio, il regista cambogiano Kavich Neang parte da un episodio biografico: i genitori hanno abitato davvero il White Building a Phnom Penh fino al 2017 e hanno subito lo sfratto che è toccato al giovane Samnang (Chhun Piseth). Questo evento è stato lo spunto per il regista per riflettere su alcuni aspetti della contemporaneità della Cambogia proposti nel suo film. White Building, infatti, mostra le speranze e i sogni delle nuove generazioni che seppur intrisi di un presente di miseria e poche certezze, lavorative ed economiche, credono nei loro sogni. I tre ragazzi all’inizio vogliono diventare ballerini, scegliendo la strada più facile, quella di un talent, che però appare irrealizzabile. Il loro desiderio, quindi, si tramuta in qualcosa di effimero, a tal punto da sgretolarsi completamente nel momento in cui uno dei tre giovani si allontana. Il presente di Samnang, quindi, si tinge delle tinte del dramma perché la sua famiglia è costretta allo sfratto e perché questa situazione porta al manifestarsi di una netta differenza ideologica e di pensiero che intercorre tra lui e il padre e, più in generale, tra la sua generazione e quella paterna. Neang, pertanto, pone questo elemento di avversione come fondamentale per lo sviluppo del film e lo esprime mostrando i pensieri differenti del padre e del figlio in merito a diverse questioni: alla trattativa sulla vendita (il padre è un ex impiegato del Ministero della Cultura e crede in un prezzo migliore da parte del Comune per la vendita della casa); sulle cure mediche che il padre deve ricevere per curare il suo diabete; sul futuro lontano dalla città. Le generazioni più anziane appaiono, infatti, legate alle tradizioni per cui vivere in città significa avere una elevata connotazione sociale. Samnang, al contrario, sembra comprensivo nei confronti del cambiamento, dell’adattamento, nel mutare la propria esistenza e per questo si propone maggiormente speranzoso nei confronti del suo futuro.

White Building, dunque, si focalizza sui cambiamenti che hanno segnato il presente e il recente passato della Cambogia e come questi siano accettati dalle diverse generazioni. È anche una pellicola sulle opportunità che possono nascere da un apparente fallimento. Nell’esprimere ciò sullo schermo è convincente l’interpretazione di Chhun Piseth che adatta il suo sguardo a seconda delle situazioni: speranzoso quando vuole diventare un ballerino; attento e vigile quando accompagna il padre nella fase decisionale; sicuro e deciso quando deve decidere per il suo futuro. Altrettanto convincente è la messa in scena del regista Neang il cui film si articola in un lento flusso narrativo, incastrando tra loro le varie vicende, attraverso una regia di osservazione che si muove lentamente a osservare, permettendo, così, allo sviluppo della storia di prendere la sua naturale evoluzione.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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