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Hong Kong Express (Versione restaurata) - Recensione

Sotto la supervisione del regista stesso la Cineteca di Bologna porta al restauro Hong Kong Express, terza opera di Wong Kar Wai, probabilmente il film manifesto della Nouvelle Vague di Hong Kong degli Anni '90: un risultato tecnicamente splendido che riesce a toccare profondamente le corde dei sentimenti dei cinefili

Il ritorno del Cinema nelle sale, dopo praticamente oltre un anno di chiusura per i ben noti problemi di emergenza sanitaria mondiale, ha portato subito una grande e stupefacente sorpresa: grazie alla benemerita Tucker infatti in questo scorcio di primavera ed estate andrà in scena in alcune sale selezionate italiane la monografia Una questione di stile - Il cinema di Wong Kar Wai in versione restaurata, che ha già preso il via con In the Mood for Love e che presenta come secondo capitolo Hong Kong Express, terza opera del maestro, tra i massimi ispiratori della nouvelle vague dell’ex colonia britannica che ha lasciato una impronta indelebile sulla storia del cinema, non solo degli Anni '80-'90.
Restaurati sotto la supervisione diretta del regista da L'Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, la rassegna che si articola in sei capitoli, ripropone larga parte dell’opera di Wong, soprattutto quel segmento iniziale che lo contraddistinse come uno degli autori più innovativi del panorama cinematografico mondiale e che regalò autentici capolavori. I film di Wong Kar Wai sono stati per tutti gli appassionati di cinema orientale e in particolare per i cultori del cinema di Hong Kong dei capitoli essenziali nella conoscenza cinematografica, quasi delle tappe imprescindibili che hanno acuito in tutti la sensibilità verso un cinema di grande impatto emotivo oltre che di enorme valore artistico. Non credo esista cinefilo, amante del cinema o semplicemente appassionato di questa arte che non abbia tra i suoi film da salvare in caso di disastro nucleare un’opera di Wong.
Hong Kong Express è tra tutti quello che forse ha la storia produttiva più singolare: inizialmente concepito come un’opera tripartita, ben presto si è ridotto ad un racconto in due capitoli perché, come afferma il regista, il primo segmento gli era un po’ sfuggito di mano ed era diventato troppo lungo - il terzo capitolo verrà comunque recuperato risultando il nucleo narrativo del successivo Angeli perduti (Fallen Angels) che Wong diresse l’anno seguente. Inoltre la pellicola fu girata nei ritagli di tempo durante le riprese di Ashes of Time, utilizzando parte della crew, compreso il fido Christopher Doyle e Tony Leung Chiu-Wai, quasi un film che si è costruito strada facendo.
Il racconto in due capitoli, con la storia dell’agente 223 piantato in asso dalla fidanzata che incontra la bionda malavitosa, femme fatale, killer spietata, e quella dell’agente 663, anch’esso appena mollato dalla fidanzata hostess, che incontra Faye, una giovane lavorante di un fast food, si svolge in una città che al ritmo di California Dreaming e di Dreams si muove in maniera sincopata intorno ai personaggi e alle loro storie. Il lavoro di restauro esalta la fotografia di Doyle, il suo cromatismo da pop art, il montaggio che sfuma colori che alterna la corsa alla slow motion; due storie d’amore metropolitano che cercano una solidità che non può esistere, perché come dice spesso l’agente 223 “Chissà se anche l’amore ha una data di scadenza”.
E la data di scadenza è l’altro aspetto fondamentale del film: quella stampigliata sui succhi di ananas che 223 compulsivamente compra ogni giorno per un mese aspettando il primo di maggio in attesa che la sua fidanzata ritorni; ma è anche un rimando al primo luglio del 1997, tre anni dopo l’anno di produzione del film, la data dell’handover con il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità della Cina continentale; una data di scadenza anche quella che ai tempi della produzione del film si avvicinava portando con sé incertezze sul futuro e il timore di perdere qualcosa di unico, come è stata la storia di Hong Kong.
I protagonisti sembrano vivere questa atmosfera di disagio che si manifesta in una solitudine immersa però in una infinita voglia di contatto, di sentimenti, di paure e di slanci, di tempo che si vorrebbe fermare o che si vorrebbe far scorrere a velocità supersonica. E il tempo è infatti l’altro caposaldo di Hong Kong Express, e di tutta l’opera di Wong: il tempo che scandisce 223, il tempo che separa Faye da 663, il tempo che rimane ad una realtà unica come la ex colonia prima che la sua identità possa essere modificata, il tempo che permette ad un amore di essere per sempre o di scadere proprio come una bevanda; il Tempo che costituirà uno degli elementi fondamentali della poetica cinematografica di Wong trova già i suoi aspetti più ricchi di lirismo, esaltati dal finale del film.
Hong Kong Express è un po’ l’altra faccia della stessa realtà di Made in Hong Kong di Fruit Chan, anch’esso magnificamente restaurato di recente e visto in anteprima al Far East Film Festival del 2017: in quest’ultimo c’è la parte cupa, dolente, pessimista dell’handover, che avvenne nel 1997, stesso anno di uscita del film. Nel capolavoro di Wong Kar Wai c’è la visione quasi onirica, colorata, popolare e ricca di sentimento di una città che si apprestava a cambiare e in cui i personaggi sono venati di malinconia e di solitudine.

L’impressione più bella che si prova nella visione di questa straordinaria opera restaurata è che finalmente si assista realmente a quello che il regista intendesse quando ha messo mano alla regia: il restauro ha restituito il vero volto dell’opera, proprio come Wong lo voleva nel suo trionfo di cromatismo poetico, di vivacità, di frenesia e di malinconia.
Bisogna ammetterlo, la stessa emozione e commozione che provammo con la visione dell’opera di Fruit Chan non può non travolgerci nell’assistere a questo imprescindibile lavoro che entra definitivamente nel Sancta Sanctorum della Cinematografia di tutti i tempi, grazie ad un’opera di restauro e di rilancio nelle sale che già con In the Mood for Love ha prodotto risultati spettacolari.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

1 commento

  • Fauto
    Fauto Martedì, 01 Giugno 2021 12:43 Link al commento Rapporto

    Onore alla Tucker, speriamo pure in una edizione blu-ray degna di questo film per chi non può vederlo in sala.

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