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Apprentice - Recensione (London Film Festival 2016)

Boo Junfeng firma la sua opera seconda: una riflessione sulla rigida legge capitale vigente in Singapore, ma ancor più un doloroso percorso emozionale di un giovane uomo

Apprentice, la seconda opera del giovane regista di Singapore Boo Junfeng, ha partecipato al London Film Festival 2016 nella sezione Dare. Il film, che ha preso quattro anni per essere completato ed ha esordito a Cannes la scorsa primavera, è al primo sguardo uno spunto di riflessione sulla rigida legge capitale vigente in Singapore, ma ancor più un doloroso percorso emozionale di un giovane uomo profondamente danneggiato nella sfera affettiva.
La storia segue Aiman (Firdaus Rahman), una giovane guardia carceraria che con diligenza e attenzione fa il suo lavoro di routine nel penitenziario di Laranga e segue i prigionieri in riabilitazione nei laboratori artigiani. Aiman, che vive con la sorella maggiore Suhaila (Mastura Ahmad), è schivo e riservato e non sembra avere una vita privata o una ragazza al di fuori del suo lavoro. Vagando per i corridoi della prigione, Aiman sente una forte curiosità, quasi un’attrazione morbosa per la stanza delle esecuzioni e per Rahim (Wan Hanafi Su), il giustiziere capo della prigione, che da molti anni ha il compito di eseguire lí le sentenze capitali, che in Singapore avvengono per impiccagione. Rahim è accurato e compassionevole nel lavoro, per quanto compassionevole possa essere un giustiziere, ma anche una persona che ha imparato a vivere al di sopra di considerazioni morali. Aiman è attratto irresistibilmente da quella stanza spoglia e cupa dove vengono impiccati i prigionieri e la esplora, nascosto nell’ombra. Alla prima occasione che trova si inserisce nella conversazione con Rahim e si offre di aiutarlo a trovare un fornitore di corde. Comincia così un rapporto tra i due, di curiosità da una parte e di fiducia dall’altra e ad Aiman viene permesso di aiutare di tanto in tanto, finché Rahim, quando si presenta l’occasione, chiede ufficialmente la promozione di Aiman a suo aiutante. Questi accetta il ruolo e comincia a lavorare con Rahim, ma un fantasma ingombrante lo tormenta sfocando sempre di più i confini tra passato e presente. Nonostante si capisca presto quale sia il segreto di Aiman, è anche chiaro che non c’è un piano preciso dietro le sue azioni, lui stesso non sa perché si senta così attratto da Rahim e perché continui a cercare la sua approvazione.
La storia in sé è semplice, ma Apprentice è un vero e proprio labirinto di emozioni. Questo è un film estremamente inquietante, quasi un horror sui generis e allo stesso tempo è un film molto elegante, non solo formalmente ma nel modo intelligente ed efficace con cui ci accompagna nella mente di Aiman. L’interazione tra i due protagonisti è il vero collante del film e di conseguenza è stato cruciale per Boo Junfeng trovare i giusti interpreti per i ruoli. Ci è voluto un anno ma il risultato ha pagato. Firdaus Rahman, nel suo primo ruolo importante, è un convincente Aiman, un personaggio che ha fatto un gran lavoro di autodisciplina per tenere sotto controllo la voragine che ha nel cuore ma che ora, all’ombra della forca, sta cominciando a perdere colpi e a rivelarsi come un’anima smarrita. Wan Hanafi Su, dall’altra parte, è un veterano del cinema d’azione malese e ha un intrinseco carisma in questo personaggio difficile che riesce a suscitare emozioni molto contrastanti in Aiman ma soprattutto nello spettatore. Guardando i suoi gesti e sentendolo parlare dei suoi metodi di esecuzione compassionevole, ci si ritrova confusi tra attrazione e repulsione.
La pellicola, a parte qualche brevissimo momento, non ha colonna sonora ma l'eccellente sound design, pensato per sottolineare con ossessiva precisione ogni passo e ogni scricchiolio, crea un’atmosfera oppressiva che va di pari passo con la fotografia del cinematografo francese Benoit Soler, ricca, satura e pastosa, dalle ombre nerissime quasi a materializzare i paesaggi mentali dove vagano i fantasmi di Aiman.

Apprentice è un film provocatorio che contesta un orrore contemporaneo andando a rimestare nella profondità di sentimenti primari ed istintivi. Mi ha rammentato con intensità perché ami il cinema.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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