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Manchester by the Sea - Recensione

Racconto sulla forza dei legami famigliari e sul superamento del tormento interiore, Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan è un lavoro che nella forma e nei contenuti riesce ad essere credibile, seppur tutt'altro che perfetto

A causa della morte del fratello Joy, Lee torna a Manchester, sua città natale nel Massachusetts che aveva lasciato anni prima sopraffatto da un dramma familiare. Da allora risiede a Boston, dove lavora come tuttofare in un condominio della periferia, conducendo una vita minimalista movimentata solo da qualche rissa da bar. I voleri testamentari del fratello prevedono che Lee si prenda cura del nipote adolescente, visto che la madre da un bel pezzo se n’è andata affogata nell’alcool. Lee si ritrova quindi nella sua cittadina di mare a dover far fronte a questa incombenza tutt’altro che deciso a onorarla, ma nel contempo (grazie a numerosi flashback) si ritrova a dovere riconsiderare il suo passato, soprattutto famigliare, oltre che a confrontarsi con il nipote Patrick in un ruolo per lui assolutamente non adatto. Questo confronto lo porta a fare i conti con il baratro nel quale si è infilato e che lo ha reso una persona arida e priva di slanci, asociale e perennemente tenebroso: il passato che riemerge, insomma e che impone all’uomo finalmente di aprire gli occhi e di trovare una vita d’uscita.
Manchester by the Sea del regista americano Kenneth Lonergan, terzo lavoro all’attivo, autore anche della sceneggiatura, dopo il giro del mondo nei festival (Sundance, Telluride, Toronto e Londra) approda alla Festa del Cinema di Roma in un contesto programmatico pienamente coerente, vista la scelta ideologica ormai chiara del Direttore Antonio Monda. Per fortuna, però, il lavoro di Lonergan riesce a sollevarsi dalla media piuttosto deludente dei lavori americani presenti nella rassegna, offrendo un racconto in cui il dramma di un uomo e della sua famiglia viene esposto in maniera tutt’altro che manieristica.
La forza dei legami familiari e il loro ruolo nel superamento del conflitto interiore sono i cardini narrativi su cui Manchester by the Sea si basa e in tal senso il film funziona, soprattutto perché riesce a creare un personaggio, quello di Lee, ben caratterizzato e studiato in maniera approfondita. L’aspetto che stona invece è il repentino e improvviso cambio di registro narrativo cui spesso il racconto viene sottoposto: si passa in un attimo dal dramma intimo più profondo a situazioni da commedia brillante, sovente in modo forzato al punto da sembrare quasi un escamotage narrativo per evitare di appesantire il racconto, così come il continuo rimando alle immagini, spesso in stile cartolina, della città adagiata sul mare sembrano voler trasmettere qualcosa di non ben definito insito nella esperienza del protagonista.

Nel complesso il film vale, perché la storia evita i luoghi comuni e i trappoloni emotivi e perché i dialoghi sono ben costruiti, il percorso interiore del protagonista è credibile e non si serve di acrobazie narrative. Inoltre la prova degli attori è ben sopra la media, con la menzione speciale per Casey Affleck che contribuisce a strutturare in maniera valida il personaggio di Lee, il suo tormento interiore e il tentativo di uscire dalla palude anaffettiva in cui si trova.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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