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C'era una volta a Shanghai (Gone with the Bullets) - Recensione

C'era una volta a Shanghai - Gone with the Bullets - Film - 2016 - Jiang Wen - RecensioneSebbene imperfetto, ridondante e con qualche tratto di megalomania, C'era una volta a Shanghai (Gone with the Bullets) di Jiang Wen è lavoro nato per lasciare il segno: quello della provocazione cinematografica?

Che Jiang Wen fosse uno tra i registi cinesi contemporanei più geniali era ormai appurato da diverso tempo grazie ai suoi film, quasi tutti pietre miliari del cinema a partire da quel In The Heat of the Sun che nel lontano 1994 alla Mostra del Cinema di Venezia svelò le grandi doti del cineasta; che il regista stesso sia un personaggio molto sui generis, dalla grande personalità che qualcuno potrebbe scambiare per tracotanza e presunzione, amatissimo e stimatissimo in patria anche per essere attore di indubbie qualità è altrettanto noto; che i suoi lavori siano spesso ricchi di un gusto per il paradosso e l’eccesso colorati di genialità è altrettanto indiscutibile: nonostante tutto ciò Gone with the Bullets (in Italia con il titolo C'era una volta a Shanghai è stato distribuito su iTunes e Google Play) è lavoro che riesce comunque a spiazzare e del quale è veramente difficile dare una lettura completa, soprattutto riguardo a quelle che erano le reali intenzioni del regista.
Partiamo da una impressione puramente personale basata solo su qualcosa di sensoriale: sembra che Jiang Wen abbia voluto, provocatoriamente, mettere sul piatto quello che il cinema cinese può esprimere quando tenta di abbracciare Hollywood in modo quasi pedissequo. “Volete lo spettacolo puro con lustrini e paillettes, eccovi serviti” sembra voler affermare col suo controverso lavoro che sia in patria che all’estero ha ricevuto commenti che abbracciano tutta la gamma dei valori, da porcata assoluta a capolavoro. Ed in effetti Gone with the Bullets è per molti versi film non semplice, pur tenendo a mente l’esperienza cinematografica di Jiang Wen.
Nonostante il titolo ingannevole, la pellicola non ha nulla a che vedere con il precedente Let the Bullets Fly, che pur nel suo frequente ricorso alla ridondanza era lavoro coerente con lo stile di Jiang. Qui periodo storico e atmosfere son ben diverse così come la struttura del film stesso.
Siamo nei primi Anni '20 a Shanghai, durante i primi anni della zoppicante Repubblica Cinese che aveva abbattuto il millenario Impero Celeste. Come in tutti i periodi di transizione non tutti erano disposti ad accettare il nuovo ordine, motivo per cui si creò in Cina una serie di autentiche satrapie personali a capo delle quali dominavano i signori della guerra, quasi sempre alti dignitari militari del vecchio regime imperiale cui spesso lo stesso traballante potere della repubblica doveva piegarsi. Ma Zouri, alto dignitario della dinastia Qing, come spesso ci ricorda nel film rammentando il suo rapporto privilegiato con la Imperatrice Cixi, ha pensato bene di riciclarsi invece come un faccendiere ante litteram, al punto che lo stesso figlio di un potente signore della guerra si rivolge a lui per riciclare denaro: in uno straordinario prologo, preceduto da una breve riflessione dello stesso Ma sullo shakespeariano To Be, or not To Be, assistiamo ad una scena che sta a cavallo tra la parodia e la citazione de Il Padrino con il protagonista che si atteggia a Don Vito Corleone, in una delle più classiche iconografie della cinema moderno. In combutta col compare ufficiale di polizia Ma organizza un evento mondano che culmina nella elezione di Miss Mondo, debitamente truccato in favore della cinese Ying, vincitrice sulle rappresentati europee e americane: momento di cinema kolossal, barocco, roboante che omaggia il musical e i film d’ambientazione Anni '20 americani.
La storia si complica quando Ying dichiara il suo amore per Ma da cui vorrebbe ricevere una promessa di matrimonio. L’uomo tergiversa, rifiuta e, dopo avere consumato oppio, si lancia con la ragazza in una folle e surreale corsa in macchina per Shanghai con l’obiettivo di raggiungere la luna. L’incidente che ne segue porta a morte la ragazza e Ma viene accusato di omicidio. Da qui Gone with the Bullets diventa la più classica (si fa per dire…) storia di cinema nel cinema perché la figlia del signore della guerra è un'appassionata della neonata settima arte e vorrebbe girare un film sulla storia del presunto omicidio compiuto da Ma Zouri, interpretata dallo stesso, carcerato e caduto in disgrazia. Il finale che sembra richiamare in alcuni momenti il precedente Let the Bullets Fly è forse la migliore rappresentazione del cinema di Jiang Wen in bilico tra surreale e favola sfrenata.
Il vero ed unico problema di Gone with the Bullets sta nel suo folle ritmo narrativo, nelle numerose tracce che lo solcano e nella netta sensazione che sovente il tutto sia buttato nel pentolone senza troppa organicità: se da un lato Jiang Wen si ispira ad una storia vera, per lo meno nella parte in cui racconta dell’accusa di omicidio mossa al protagonista, dall’altra sparge nel racconto, in ordine sparso, citazioni cinematografiche a fiumi (il già citato Padrino, il musical americano, i fratelli Lumiere), citazioni melomani (alcune arie di opere italiane), riflessioni sul ruolo del cinema e della sua capacità di trascendere la realtà fino a costruirne una tutta nuova attraverso il potere di fascinazione e di manipolazione e qualche pensiero sparso sull’amore e le sue vere facce.
Insomma Gone with the Bullets è più un caleidoscopio che spara colori e immagini a ritmo sfrenato che un racconto lineare seppur sostenuto da uno stile molto personale, e questo indubbiamente può spiazzare, a maggior ragione chi non conosce l’esperienza cinematografica del regista. Per larghi tratti la mano di Jiang Wen si vede e anche nitidamente, ma l’impressione che il film sia un po’ esploso nelle sue mani, forse anche oltre le sue intenzioni è più che tangibile. Ecco dunque che torniamo al punto di partenza: la provocazione cinematografica.
Il cast è ben assortito, perché accanto a Jiang stesso nel ruolo di Ma Zouri, uno di quei personaggi un po’ canaglieschi ma dal grande carisma che l’attore-regista ama in modo particolare, troviamo Shu Qi ben calata nell’adorabile personaggio di Ying, Zhou Yun in quello dell’aspirante regista, anch’essa convincente, e Ge You come sempre protagonista di una solida prova nei panni del compare di Ma.

Gone with the Bullets non passerà certo alla storia come il miglior film di Jiang Wen, ma nella sua magniloquenza e ridondanza quasi megalomane possiede comunque le stigmate del film costruito per lasciare il segno.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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