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Ritratto di famiglia con tempesta - Recensione

Il ritorno di Hirokazu Kore-eda allo stato di grazia di Still Walking: Ritratto di famiglia con tempesta è un’osservazione di interazioni, dinamiche e banalità della vita famigliare, condotta con una chiarezza e una precisione a tratti ossessiva

Il regista Hirokazu Kore-eda torna a Londra anche quest’anno dopo aver presentato il suo film Ritratto di famiglia con tempesta a Cannes nella sezione Un Certain Regard e ci offre un film pieno di domande senza risposte e di grandi interpretazioni
Con Ritratto di famiglia con tempesta, Kore-eda torna ad esplorare le dinamiche famigliari, il significato intrinseco di paternità, il prezzo affettivo di un divorzio (temi che abbiamo già visto in film come Still Walking, Father and Son, I Wish ) e lo fa con grande grazia e supportato da grandi attori, suoi regolari collaboratori le cui performance arricchiscono e completano una vicenda circolare di corsi e ricorsi.
La storia è tenue ed è un pretesto per dialoghi toccanti e profondi ma a volte anche divertenti: si divide in due parti, un lungo prologo allo 'storm' del titolo e un atto quasi teatrale al chiuso durante il temporale. Siamo nella periferia di Tokyo all’ombra di un complesso di modeste case popolari. Ryota (Hiroshi Abe) si trova lì per visitare la madre Yoshiko (Kirin Kiki) da poco vedova. Ryota non è particolarmente a suo agio, non sembra visitare la madre spesso e la prima cosa che fa in casa è cercare dei soldi o qualcosa di valore. Non è difficile capire che Ryota non se la passi proprio bene e subito scopriamo che la sua vita è divisa tra un lavoro di investigatore privato di bassa lega per un’agenzia che si occupa principalmente di spiare adulteri e il suo secondo romanzo in fase di scrittura per cui però sembra aver perso la vena creativa. Ryota da ragazzo aveva mostrato un certo talento per la scrittura e aveva anche vinto un premio letterario con un romanzo palesemente autobiografico (nonostante lui lo neghi fermamente) ma ora a fatica riesce a concentrarsi e a produrre qualcosa. In più ha sulle spalle un divorzio mal digerito e un figlio, Shingo (Taiyo Yoshizawa), che ama e non vuole perdere e con cui cerca di mascherare la sua situazione. Ma Ryota non è proprio una vittima delle circostanze, la ragione delle sue sfortune è molto concreta ed è il suo vizio per il gioco d’azzardo. Dalle corse, al Pachinko alla Lotteria Nazionale, tutto ai suoi occhi sembra offrire quel sogno, come lui lo definisce, di cambiare vita ma in realtà non fa altro che danneggiarlo in tutto e la ex-moglie Kyoko (Yoko Maki) finirà per negargli il figlio se Ryota continua a non pagare gli alimenti.
Seguiamo Ryota che si barcamena con il lavoro, spia Kyoko con il suo nuovo compagno, sbarca il lunario con piccoli ricatti alle vittime delle sue investigazioni e a poco a poco capiamo che il padre era stato in vita molto simile a lui e quello che ha portato Kyoko a chiedere il divorzio sono le stesse pene che la suocera ha subito nella sua vita matrimoniale. I dialoghi con il tenutario del banco dei pegni dietro casa offrono un divertente espediente di scoperta del padre di Ryota.
Il giorno che Ryota ha il suo mensile incontro con il figlio, per una svolta di eventi non del tutto dovuta al caso, si ritrovano tutti a casa di Yoshiko bloccati dal temporale e costretti a passare la sera e la notte insieme. Sarà naturalmente uno spunto per parlare e cercare di ricucire rapporti e lenire ferite dolorose.
Premesso che il mio è un giudizio leggermente di parte perché amo molto questo regista e i suoi film, Ritratto di famiglia con tempesta è per me un ritorno allo stato di grazia di Still Walking. Nonostante varie similitudini con Father and Son, qui manca il doloroso interrogativo a cui quel film sottoponeva inevitabilmente lo spettatore. Il nuovo lavoro di Kore-eda è invece un’osservazione di interazioni, dinamiche e banalità della vita famigliare, condotta con una chiarezza e una precisione a tratti ossessiva. Gli spunti di riflessione che ne emergono sono universali e importanti. Cosa vuol dire veramente essere padre? È giusto riversare le nostre aspettative sui figli? Fino a che punto i nostri fallimenti personali coincidono con le delusioni di quelle aspettative? È proprio ineluttabile questo circolo di rifiuto dei propri genitori per poi finire sempre ad assomigliar loro? Ma sono anche interrogativi indulgenti con i personaggi e gli spettatori: l’impossibilità di rispondere resta un fatto naturale, come il temporale in arrivo. Accettazione è qui la chiave di lettura. Il titolo originario è diverso e molto significativo: ”più profondo del mare”, che sono le parole di una canzone, sottintende i legami famigliari.
Come in molti dei film di Kore-eda, ci sono dei bei momenti di aggregazione intorno al cibo e alla sua preparazione. In questo caso è cibo modesto, come la famiglia di Ryota, una granita dura come un sasso e dal saporaccio di freezer o un curry scongelato all’ultimo momento (“aggiungi i piselli per il colore!”), ma sempre catalizzatore di spontaneità e naturalezza del dialogo.
Gli attori sono tutti di provata bravura. Hiroshi Abe, 'allampanato' e sciatto, rende credibile, amabile e buffo lo sciagurato Ryota e Kirin Kiki come sempre è puro piacere da guardare ed ascoltare e le parti più godibili del film sono proprio i dialoghi madre-figlio. Yoko Maki interpreta con sottigliezza un personaggio che si rivela più complesso di quello che sembra e il regista sa dirigere i bambini con tocco leggero e spontaneo. Lily Franky, un altro attore regolare, fa una gradita apparizione nei panni del titolare dell'agenzia investigativa.

Kore-eda forse non brilla in originalità di temi, ma nelle sue opere ha saputo efficacemente trasformare le sue ossessioni in una forma lirica di ode alla vita.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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