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Leviathan - Recensione

Arriva in Italia uno dei film più belli del 2014: storia tutta russa di disperazione e di eroismo spicciolo, Leviathan di Andrey Zvyagintsev è film che sa lasciare un segno profondo

Forte del Premio come Migliore sceneggiatura allo scorso Festival di Cannes e della vittoria al Golden Globe, Leviathan si presentava come il più autorevole candidato alla vittoria agli Oscar per la categoria Miglior Film in lingua straniera; sappiamo poi come sono andate le cose, e mai come quest’anno la cinquina era di altissima qualità. Ora il lavoro del regista russo Andrey Zvyagintsev è pronto a sbarcare nelle sale italiane.
Leviathan è lavoro intenso, profondamente russo nella sua spiritualità, tragico per la tematica affrontata, addirittura stupefacente per la grandiosa presenza della forza della natura e della sua capacità di annullare tutto.
E' la storia di Kolya, ex militare, uomo burbero e irruento, che non vuole cedere la sua terra al satrapo locale di una piccola città affacciata sul Mare di Barents nel nord della Russia che ha il volto del sindaco e le maniere del classico malavitoso e imbroglione russo, oligarca di provincia e per questo ancora più becero e squallido. Viene aiutato nella sua battaglia da un ex commilitone ora avvocato nella capitale e nello stesso tempo deve tenere a bada il figlio adolescente la cui madre è morta e che vede con occhio ostile la nuova moglie di Kolya.
Il racconto è una spirale progressiva, lenta ma inesorabile, di catastrofi personali per il protagonista in cui c'è in gioco non solo la sua terra e la sua casa, ma anche gli affetti, le amicizie e la vita stessa.
Sebbene i riferimenti a Giobbe siano reiterati nel film, Leviathan ha ben poco di religioso al suo interno, semmai il racconto vuole rovesciare quella che fu la storia biblica per dimostrare come l'uomo sia in balia di forze a lui incomprensibili e spietate. Che esista un anelito fortemente spirituale, quasi escatologico, nel film è fuori discussione, ma quello che emerge maggiormente è la mano nell'uomo, la protervia del potere (la foto di Putin campeggia spesso e volentieri...), l'impossibilità di ribellarsi nonostante Kolya sia un po' il prototipo dell'eroe del terzo millennio che incarna lo spirito rivoluzionario russo.
Zvyagintsev utilizza la trama del film che ondeggia tra la commedia nera all'inizio e il dramma sociale in seguito, per mettere nel calderone la Bibbia e la Chiesa ortodossa, i vizi dei russi e il loro passato, la prepotenza dei politicanti e Hobbes, cui il titolo chiaramente richiama, per dimostrare come l'uomo sia abbandonato al suo destino. Per fare ciò apre e chiude il film con immagini quasi spaventose fatte di scogliere battute dal vento e dalle onde, caseggiati ridotti a macerie, strade polverose e relitti di barche: un ambiente insomma che mostrando la sua faccia più ostile accentua la solitudine e l'incapacità di ribellarsi al fatalismo.
Alcune immagini rischiano di rimanere negli occhi per molto tempo: quella che sembra uscita da Alexej Balabanov quando durante il picnic Kolya ed i suoi amici si esercitano sparando contro le foto dei vari leader dell'ex URSS usate come bersagli, l'enorme carcassa adagiata sulla battigia che rimanda all'idea del Leviatano leggendario, impersonificazione di Satana, la feroce critica all'istituzione religiosa durante i colloqui tra il Pope ed il satrapo locale ed infine l'epilogo che richiama ancora all'Antico Testamento e che suona come una beffa viste le vicende che Kolya deve affrontare.
La bellezza di Leviathan sta proprio in questo continuo impietoso confronto tra uomo e uomo, perché la presenza di Dio non si sente, anche quando Kolya la cerca per un attimo per trovare conforto alle sue disgrazie e soprattutto nella certezza che il film è russo fin dentro i più reconditi angoli: vodka a fiumi, passione, fatalismo, violenza cieca, natura grandiosa che incute timore, persino romanticismo che impregna gli eroi perdenti che inseguono il loro ideale rivoluzionario.

E' un grande film Leviathan, di quelli che rimangono addosso e che per molto tempo ancora saprà sussurrarti nell'orecchio dopo essere rimasto aggrappato sulle spalle nonostante le poderose scrollate per lasciarlo cadere.



Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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