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The Royal Tailor - Recensione (Far East Film Festival 2015)

L'opera seconda del coreano Lee Won-suk è un elegante racconto basato sul concetto della bellezza artistica attraverso la contrapposizione tra tradizione e innovazione

Due anni fa aveva conquistato il Far East Film Festival con la commedia brillante-demenziale How to Use Guys with Secret Tips che gli valse il premio assegnato dal pubblico, quest’anno Lee Won-suk è tornato ad Udine con un lavoro di tutt’altro spessore, dall’alto budget, storico ed in costume, interpretato da attori di fama e ben lontano dai toni del precedente, ma che dimostra come l’ambiente cinematografico coreano creda profondamente nelle doti di questo regista.
La storia, ambientata in epoca Joseon, racconta dell’incontro-scontro tra due personalità che sono agli opposti: il sarto ufficiale di Corte Cho Dol-suk, uomo di grande esperienza e curriculum, emblema della tradizione, e il giovane Lee Kong-jin, astro nascente della sartoria, portatore di idee innovative e anticonformiste. Tra i due nasce una rivalità che è basata essenzialmente sul personale concetto di moda e di design: austero e legato alle consuetudini l’uno, estroverso e rivoluzionario l’altro nell’intendere il ruolo dell’abito presso la corte regale. Il loro confronto scatena una serie di reazioni a corte, coinvolgendo sia il Re che la Regina, la più ammaliata dallo stile del giovane sarto, fino a portare ad uno scandalo che altro non è poi che il concretizzarsi di una serie di trame ordite all’interno del governo del regno. Quando il giovane sarto guadagna il favore di alcuni dignitari e soprattutto della Regina, lo stilista ufficiale di corte vede danneggiata la sua figura ed il suo ruolo pur, intimamente, ammirando l’audacia del giovane collega che da parte sua lo vede con grande rispetto nonostante le sue idee siano spesso in conflitto.
E’ chiaro che The Royal Tailor vive principalmente sul contrasto tra di due protagonisti, sullo strano rapporto di rispetto, invidia e ammirazione che si crea e che è lo specchio di una riflessione sul conformismo e sulla creatività artistica, sul concetto del bello e sulla prorompente fantasia creativa contrapposta alle rigide regole tradizionali.
Ma il contorno anche ha il suo peso: il Re insicuro e vittima del complesso del secondogenito, la Regina che vive sommessamente, in maniera quasi ascetica il suo ruolo a corte, la lunga schiera di dignitari pronta sempre a tramare nel buio spinta dall’ambizione sfrenata. E poi c’è l’aspetto puramente estetico che si manifesta nell’ampia gamma di abiti di corte che i due sarti confezionano con grande senso dell’arte e della cromaticità: a ben guardare è proprio lo sfoggio di tessuti e di abiti dalle linee innovative il collante che tiene la storia insieme, essendo il film privo di tematiche politiche o storiche e incentrato invece sullo scontro tra moda tradizionale e innovativa.
Lee Won-suk dimostra di avere buone doti, tenendo in mano la storia in modo fermo, sottolineando spesso quello che è il cardine centrale del film (la contrapposizione tra conformismo e creatività) e muovendosi bene tra scenografie e ambientazioni curatissime ottimamente fotografate e non disdegnando, soprattutto all’inizio, toni da commedia brillante o alcuni spunti surreali. Se nel lavoro precedente dominavano l’estro e l’ironia surreale, in The Royal Tailor Lee dà una buona dimostrazione di regia strutturata, sebbene più convenzionale.
Come detto anche la scelta degli attori protagonisti sta a dimostrare l’ambizione del lavoro di LeeHan Seok-kyu è l’austero sarto di corte che solo nel finale capisce in pieno il suo rivale e Ko Soo è il rivoluzionario esteta che funge da elemento di rottura all’interno di una corta dominata da rigide regole. Entrambi regalano una prova degna di nota.

Con questo lavoro, Lee Won-suk ha ottenuto il secondo posto nella classifica dei voti del pubblico all’interno della tripletta coreana che ha dominato la 17esima edizione del Festival di Udine: pur non essendo di certo il miglior lavoro visto, The Royal Tailor è senz’altro superiore al vincitore e ci conferma le buone doti del giovane regista, ormai cittadino udinese di diritto.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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