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Ode to My Father - Recensione (Far East Film Festival 2015)

Trionfatore al Far East Film Festival 2015, Ode to My Father è un intenso dramma storico-sociale che per larghi tratti non convince nonostante le premesse

Dopo avere spopolato in patria risultando il secondo film più visto nella storia del Cinema coreano, Ode to My Father vince il Gelso d’Oro al Far East Film Festival 2015, ricevendo una media voti da parte del pubblico da autentico record.
Il lavoro del regista coreano Yoon Je-kyoon è una carrellata storica che abbraccia più di sessanta anni, dall’inizio della guerra di Corea ad oggi, all’interno del quale trova spazio un dramma famigliare e numerosi riferimenti sociali sulla storia del Paese.
Gli ingredienti per poter costruire un buon film c’erano tutti: storia ricca di episodi tragici, dramma famigliare, il presente che di quegli anni passati conserva forse una memoria troppo scolorita, il disagio di chi ha impegnato tutta la sua vita per contribuire alla costruzione di un paese che oggi viene annoverato tra le grandi potenze economiche mondiali partendo da una situazione di enorme arretratezza e una società coreana moderna che sembra voler con troppa facilità voltare le spalle a quel passato gettandolo nell’oblio.
La storia inizia nel 1951 con una lunga e spettacolare scena molto ben costruita dell’evacuazione di Hungnam in seguito all’avanzata delle forze cinesi in Corea: qui la famiglia di Duk-soo si frantuma, il padre e la sorella del ragazzino rimangono dispersi e lui una volta giunto a Busan con la madre e le due piccole sorelle dovrà occuparsi della famiglia secondo la più classica delle tradizioni delle società patriarcali. Seguiamo le vicende di Duk-soo nel corso degli anni, le sue amicizie, i suoi amori, l’espatrio in Germania per lavorare in miniera e poi la guerra in Vietnam dove il ragazzo va a cercare fortuna. Lo ritroviamo infine ai giorni nostri, ormai invecchiato, evidentemente a disagio nella nuova società coreana, circondato da una famiglia che non sembra capire fino in fondo la drammaticità della sua storia.
Il finale, tra fiumi di lacrime, porta addirittura al ricongiungimento con la sorella, attraverso una lunga scena ricca di dramma e di pathos come solo quelle veicolate dalla TV riescono a fare.
Ci sono cose che funzionano in Ode to My Father come la descrizione della Corea degli anni '50-'60 in preda ad una profonda depressione e la figura del vecchio Deok-soo che condensa in sé tutta la tragicità della storia di una generazione che con il suo contributo portò la Corea fuori dall’arretratezza in cui versava. Il vecchio è una persona scontrosa, dura, disillusa, poco incline ai compromessi che sembra non capire le nuove generazioni e che non vuole accettare il cambiamento che porta alla cancellazione di un passato forse troppo doloroso e scomodo. D’altra parte però la pellicola mostra troppo spesso una ostinata tendenza alla eccessiva drammatizzazione ricercata soprattutto attraverso facili espedienti che fanno leva sull’emotività, risultando alla fine un condensato di situazioni e di momenti triti e ritriti che cercano solo la facile commozione adagiandosi in tal modo su toni troppo convenzionali: un drammone, insomma, che mescolando vari ingredienti di facile presa, lungi dall’essere una ode a chi la nuova Corea ha contribuito a costruire con fatica estrema, diventa una occasione per sciorinare situazioni che vorrebbero colpire il cuore ma che in effetti mostrano solo un eccesso di enfasi.

Pur nel suo dibattersi tra quanto di buono c’è nella storia ed una struttura che progressivamente scivola nel dramma fine a se stesso, Ode to My Father è film che comunque vale la visione, più per i presupposti e, forse , le intenzioni, che per la reale qualità del racconto.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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