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The Continent - Recensione (Far East Film Festival 2015)

Esordio nel cinema per Han Han, tra le figure di maggior spicco nel panorama culturale cinese: un road movie che è fuga e ricerca nello stesso tempo per una generazione che sente il peso dell'insicurezza

Mancava solo il cinema nel già ricco e variegato curriculum di Han Han, personaggio tra i più famosi in Cina, che al di là delle pittoresche e iperboliche definizioni di qualche giornale che tende a fare opinione ponendolo sistematicamente tra i 50 personaggi più influenti al mondo, o amenità simili, è personaggio che ha al suo attivo diversi romanzi, tutti successi editoriali clamorosi, un blog di quelli che tutti leggono, una produzione musicale e, come non bastasse, anche una discreta bacheca di trofei conquistati nei rally automobilistici professionistici. Un personaggio, insomma, a 360 gradi, di quelli che come fanno qualcosa animano discussioni, dibattiti e polemiche, idolo delle nuove generazioni che vedono in lui un modello da seguire, il successo fatto persona in carne ed ossa.
Con The ContinentHan Han fa il suo esordio nel mondo cinematografico, ispirandosi al suo romanzo Verso Nord unonoveotootto, tradotto anche in italiano, raccontando una storia semplice che ha nel mito del viaggio il suo perno centrale: un road movie in piena regola, almeno nelle intenzioni, sebbene ben lungi dai modelli americani che ne hanno fatto un genere tra i più in voga e abusati.
La storia parte da un isolotto ormai semiabbandonato nell'Est della Cina, quasi un monumento in stato di abbandono di un'epoca ormai finita, dove tre amici decidono che è il momento di abbandonare il passato e lanciarsi verso la terraferma: il pretesto è dato dal fatto che Jang He, insegnante presso la scuola sull'isola, si trasferisce a lavorare nel lontano ovest del Paese, a lui si aggregano Ma Haohan, tenebroso e nichilista, e Hu Sheng, un mezzo ritardato che però funge da narratore della storia e che ben presto abbandonerà gli altri due durante il viaggio. Una bella esplosione dagli effetti inaspettati funge da taglio col passato e l’inizio della nuova vita.
Ogni viaggio che si rispetta ha come premessa quella di incontrare nuove persone, ascoltare esperienze diverse ed è ovviamente quello che accade: i viaggiatori, quasi dei cavalieri erranti medievali, dapprima fanno visita ad una vecchia amica che vive in un set cinematografico di un film antigiapponese, poi si imbattono in un'aspirante escort, in realtà un'altra anima in pena che vuole fuggire, poi Ma Haohan incontra la sua vecchia amica di lettere che lo metterà al corrente della reale storia della sua famiglia e quindi, per finire, un biker appiedato che nel ricordo della moglie morta viaggia senza meta, appassionato di astronomia e di imprese spaziali. Naturalmente non manca neppure il cucciolo di cane trovato, tanto per dare un tocco di tenerezza alla storia, come non bastassero le svariate botte in testa regalate dal viaggio ai protagonisti.
Attraverso il peregrinare in zone incredibilmente belle e selvagge ed altrettanto inospitali i protagonisti inseguono il loro sogno, il loro ideale, le paure e le illusioni. Più che un road movie The Continent è il racconto di una generazione sbandata, idealista e sognatrice, che vive il suo disagio esistenziale fuggendo e cercando un nuovo orizzonte senza ancora avere deciso cosa fare da grande: spesso i dialoghi sono improntati a riflessioni filosofiche escatologiche, contaminate da un certo surrealismo che si evidenzia in talune situazioni quale la sfacciata citazione di Still Life di Jia Zhang-ke (che nel film compare in una piccolissima parte) che vede il missile solcare il cielo della Cina remota e contadina, oppure a metafore più o meno riuscite come quella delle rane.
Insomma The Continent a conti fatti non è propriamente quello vorrebbe essere, nel senso che non c'è uno sviluppo reale del mito del viaggio, inteso come la cinematografia soprattutto americana lo ha plasmato e tanto meno di quello della frontiera come era nei western. Semmai il film è un racconto a tinte variopinte di un disagio generazionale che esprime l'insicurezza e la paura per un presente povero di certezze.

L'operazione comunque può dirsi riuscita: Han Han ha saputo dire la sua anche nel cinema, realizzando oltretutto uno dei film di maggiore incasso e vedremo se tra un rally ed un altro sarà in grado di dare seguito a questa nuova prospettiva cinematografica.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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