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Duckweed - Recensione

Opera seconda del giovane regista Han Han, Duckweed è lavoro che scava ancora nella autobiografia del regista facendo leva sul senso di nostalgia per un'epoca non lontana ma profondamente diversa da quella attuale che sta vivendo la Cina

Xu Tailang è un pilota di rally affermato che con l'ultima vittoria si consacra campione. Al termine della gara nota tra il pubblico il padre al quale rivolge acidi e risentiti ringraziamenti per aver tentato in tutti i modi di frustare la sua passione, al punto che da giovanissimo lo aveva fatto assumere come autista di ambulanze pensando di assecondare la sua aspirazione. Dopo la gara, invita il padre sull'auto con la quale si lancia in una folle corsa che si conclude con uno schianto contro un treno. Mentre giace moribondo in ospedale, Tailang vede scorrere davanti a sé rapidamente la sua vita, in accordo con quanto comunemente si creda possa accadere in punto di morte. Poi all'improvviso si ritrova gettato sul finire degli Anni '90, pochi mesi prima della sua nascita. Il primo incontro che fa nella sua città natale è il giovane padre, sfaccendato bulletto di quartiere che si atteggia a piccolo capobanda. Tailang, sconcertato, realizza che quella è l'occasione buona per poter finalmente vedere la madre che morì dandolo alla luce. Ma la ragazza che è fidanzata col futuro padre, ha un nome diverso e quindi si assume la responsabilità di compiere la missione di cambiare le sorti della storia, altrimenti lui non verrà al mondo. Facile immaginare cosa possa accedere allorquando, ricorrendo anche a mezzi poco ortodossi pur di allontanare il padre dalla ragazza, il protagonista viene a sapere che quest'ultima prima di sposarsi cambierà nome. Superfluo dire quale sarà quello che prenderà. Tra Tailang e il padre nasce un'amicizia e un legame forte e i due affronteranno assieme ai membri della scalcinata banda tutti gli eventi che una gang di quartiere può trovarsi di fronte, ma sarà anche l'occasione per il protagonista di metter a frutto, in favore dei suoi amici, le sue conoscenze che provengono dal nuovo millennio. Chiaro che a questo punto le situazioni al limite del comico pullulano con gli amici che credono di arricchirsi con i cercapersone o con le videoteche invece dei cinema. L'unico che sembra avere il fiuto per quanto avverrà nel futuro è quello che poi sarà il fondatore di WeChat, visto qui come un mezzo scemo strampalato.
Al suo secondo lavoro cinematografico dopo The Continent Han Han, autentico personaggio emblema di una generazione grazie ai suoi romanzi, alla sua attività di blogger seguitissimo e ovviamente di pilota di rally professionista, punta ancora una volta su tematiche autobiografiche come fu per il primo lavoro; non solo la parte iniziale di Duckweed imperniata sul mondo delle gare di rally, ma tutto l'impianto del lavoro gioca con il passato, attraverso l'espediente che richiama inevitabilmente alla mente Ritorno al Futuro.
Il ritorno al passato per Han Han è l'affermazione di quel senso di nostalgia per un'epoca tutto sommato recente ma che in qualche modo sembra farsi strada fra coloro che nacquero già quando la Cina aveva intrapreso la sua folle corsa alla modernità, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti ora. Sembra quasi che la sbornia di modernità e di ricchezza che aveva inebriato le giovani vite durante i primi anni del nuovo millennio stia ora chiedendo il conto a coloro che di fatto hanno conosciuto solo la Cina moderna alla rincorsa del benessere.
Come quasi tutti i lavori incentrati su tematiche autobiografiche, Duckweed si avvale di una tangibile sincerità, ancora più credibile nel momento in cui il regista ben si guarda dall'utilizzare toni e atmosfere da elegia del passato, preferendo invece registri decisamente più brillanti ed ironici che meglio rendono le emozioni che la storia vuole trasmettere.

Han Han mette in mostra, confermandolo dopo il più minimalista The Continent, doti di regia inusuali, riuscendo a fondere in maniera armonica la storia e la descrizione dei personaggi, resi vividi dalla forte carica di simpatia che sprigionano. Il finale poi, attraverso una nascita che diventa quasi subito rinascita, è un'affermazione forte della pacificazione del personaggio e di concerto, quella del regista stesso.
Eddie Peng nella parte del padre è autore di una prova che, nonostante il suo sia un personaggio ben oltre le righe, si mantiene sempre su livelli equilibrati e credibili e forma con Deng Chao, impegnato nel ruolo di Xu Tailang, una coppia ben assortita.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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