News, recensioni, approfondimenti sul cinema asiatico

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniAsiaMr. Six (Lao pao er) - Recensione (Venezia 72 - Fuori concorso)

Mr. Six (Lao pao er) - Recensione (Venezia 72 - Fuori concorso)

La massiccia dose di retorica finale scalfisce solo in parte quanto di buono visto nella prima parte: Mr. Six di Guan Hu è lavoro che nella sua descrizione della vecchia Pechino e dello scontro generazionale offre buoni momenti di cinema

Nei vicoli che si snodano tra i vecchi hutong pulsa ancora lo spirito della vecchia Pechino, quella che ha resistito alle demolizioni in nome della modernità e che conserva ancora tenacemente le tradizioni millenarie di una civiltà basata sulla solidarietà e sulla lealtà. In uno di questi vicoli regna incontrastata la figura di Mr. Six, un vecchio caporione ormai malandato il cui carisma però rimane intatto. Nonostante la modernità che avanza. Mr. Six è un totem che dall’alto scruta la vita nei vicoli e al quale tutti si rivolgono per comporre dispute, per avere consigli e aiuto. Nel passato Mr Six era a capo di una banda che risolveva le questioni “alla pechinese”: botte, sciabolate e lealtà. Ora la sua vita scorre tranquilla con l’amato merlo cui ha insegnato a parlare e l’amica Xia che funge da amante-badante-fedele alleata. Il figlio di Mr. Six è invece il tipico esempio della generazione del terzo millennio: edonismo sfrenato all’insegna del “tutto e subito” accompagnato ad una vacuità morale ed etica che contrasta fortemente con lo spirito delle vecchie tradizioni. Messosi nei guai per uno sgarbo inflitto ad un capobanda figlio di uno dei tanti nuovi ricchi, imprenditori e politici, costruitisi sulla corruzione e sulla forza persuasiva del denaro, Xiaobo, il figlio di Mr. Six, viene rapito dal giovane satrapo che gira con macchine lussuose.
Per Mr. Six, disgustato dall’atteggiamento del figlio ma pur sempre animato dal dovere paterno e, probabilmente, dal rimorso per non avere plasmato il ragazzo come avrebbe voluto, non rimane altro che ritornare nell’arena, chiamando a raccolta i vecchi compari di una volta per sfidare la tracotanza dei nuovi baby gangster privi di ogni etica.
Il regista cinese Guan Hu, assimilato spesso nell’ambito dei cineasti della Sesta Generazione, ci aveva convinto ripetute volte con lavori validi (Cow, Design of Death e The Chief, the Actor and the Scoundrel), spesso arricchiti di quel cinema dalle venature surreali che ricorda Jiang Wen, ma sempre con un occhio agli aspetti sociali. In Mr. Six il tema dominante è quello dello scontro generazionale e di conseguenza il confronto tra la tradizione e la modernità, tra gli ideali e il materialismo, tematiche che però il regista tratta in maniera piuttosto diluita.
Tutta la prima parte del film è un eccellente affresco della vecchia Pechino: i vicoli, gli hutong, lo stile di vita che sembra sospeso nel tempo, le chiacchiere in strada, le dispute che sembrano dei divertenti siparietti da avanspettacolo ma che riflettono l’autentico spirito cinese popolare, Mr. Six che dall’alto del suo carisma veglia sulla pace nei vicoli. Su questa atmosfera si inseriscono poi le riflessioni sul contrasto tra quello che è diventata la società cinese oggi e lo spirito originale su cui si basavano le regole tradizionali del popolo: i vecchi che vivono come disadattati perché non si riconoscono in una società che ha voltato le spalle al passato. I dialoghi tra Mr. Six e il figlio e tra Mr. Six e Fei, il giovane bulletto efebico che gira in Ferrari, stanno lì a dimostrare il gap incolmabile che c’è tra le due generazioni.
Quando poi la storia sembra strizzare l’occhio ad atmosfere da The Warriors, perde un po’ della sua forza: l’aspetto sociale e antropologico lascia spazio a situazioni più convenzionali e soprattutto ci si avvia ad un finale che cerca di dimostrare che tutto sommato però questo scontro generazionale, che è quasi uno scontro di filosofia di vita, può anche trovare un punto d’incontro. Insomma, facendo ricorso ad una bella dose di retorica, padri e figli si sforzino di capirsi l’un l’altro e il punto d’incontro si trova, salvando capre e cavoli (leggi tradizione e modernità) perché in fin dei conti siamo tutti cinesi, figli di una grande civiltà millenaria.

Nel complesso Mr. Six funziona all’inizio per il suo contenuto iconografico e per uno spirito audace che però ben presto si affievolisce, rende con efficacia gli aspetti del conflitto generazionale che è uno dei temi maggiormente dibattuti oggi in Cina, regala degli squarci di una vecchia Pechino (i vicoli, gli hutong, le facce) molto belli; funziona meno per la sua abbondante dose di retorica, per una seconda parte che zoppica vistosamente, sembrando Guan Hu titubante tra la deriva surreale a lui cara nei precedenti lavori e una storia più ancorata alla realtà. Il cast di assoluto livello si avvale soprattutto di Feng Xiaogang nel ruolo di Mr. Six e di Zhang Hanyu in quello del più fidato compare: entrambi sanno ben interpretare lo spirito che pervade il lavoro di Guan Hu, paladini di un mondo che tenacemente resiste e che non vuole arrendersi all’omologazione consumistica.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

  Vai alla scheda del film

Video

Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.