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Intervista con video a Zhao Liang per Behemoth (Beixi moshuo)

Il regista cinese Zhao Liang ci parla in un'intervista del suo ultimo lavoro, il documentario Behemoth, una profonda e sconvolgente riflessione sull'avidità umana che ci ha sedotto dalla prima all'ultima immagine

Incontriamo Zhao Liang, il regista di Behemoth (Beixi moshuo) in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, nella mattinata di sabato quando l’aria da “levare le tende” è pienamente tangibile in attesa della cerimonia di premiazione.
Sulla terrazza dell’Excelsior al Lido sole e vento si rincorrono piacevolmente e seduti sui comodi divani iniziamo l’intervista complimentandoci per la sua opera e mostrandogli il pagellino della redazione di LinkinMovies.it che gli assegna il nostro personale Leone d’Oro. Zhao Liang ride divertito, ringrazia e si rammarica (a ragione come purtroppo si vedrà qualche ora dopo) che non fossimo noi i giurati del Concorso. Sotto trovate anche il video dell'intervista con il regista.

Nella tua opera c’è un continuo riferimento alla Divina Commedia di Dante, opera che noi italiani studiamo a scuola dall’età di 11 anni fino a 18 e che per la sua estrema complessità non pochi problemi causa negli studenti. In quale modo ti sei approcciato a Dante e che difficoltà hai incontrato di fronte ad un'opera così impegnativa?
(Dapprima ride mentre l’interprete traduce e quindi riferisce di ricordare solo i primi versi, come tutti noi italiani) Noi in Cina conosciamo Dante sin da ragazzini quando ce lo fanno studiare a scuola, naturalmente il nostro approccio non è lo stesso che avete voi in Italia, leggiamo solo alcuni versi ma è un’opera che ci colpisce molto. Io cercato di distillare le parti più significative dell’opera confrontando varie versioni in quanto ne esistono di più semplificate e di più complicate, alcune scritte in cinese tradizionale, altre in semplificato, tutte però ricavate da versioni in lingua inglese: il grosso del lavoro è stato questo. I miei amici poi mi hanno regalato anche una versione molto bella e raffinata nella quale c’è il tentativo di mantenere la metrica e di rendere fedelmente le metafore e alla fine ho capito che l’opera di Dante ben si prestava a rappresentare quello che io volevo esprimere nel film.

Quello che ci ha colpito in questo film è il fatto che sia un’opera che va oltre i generi cinematografici convenzionali, supera il concetto di documentario anche grazie alla tua attività di videoartista affermato. Ritieni che Behemoth sia il punto partenza di una nuova forma cinematografica o l’approdo di una esperienza cinematografica maturata nelle tue opere precedenti?
Deduco che avete una certa conoscenza delle mie opere precedenti e questo mi rallegra. Avete interpretato bene il mio sforzo: volevo essere originale, più espressivo, apportare alcuni cambiamenti al mio stile come se fosse una sfida, ho cercato di usare la mia precedente esperienza ed inserire dei nuovi elementi. Penso che la mia è una opera che non è perfetta, ci sono aspetti che potrebbero essere migliorati. Credo di poter dire che al tempo stesso è sia un punto di approdo che uno di partenza: nel futuro cercherò di proseguire in questo senso alla ricerca dell’originalità per sperimentare e migliore ulteriormente questa strada intrapresa.

Sarà anche imperfetto Behemoth, ma è uno di quei lavori che colpiscono forte, qualcosa che sembra essere oltre le forme cinematografiche consuete, un'opera come in giro non se ne vedono.
Grazie! (Ride divertito) Sì, concordo che all’interno di molti documentari manca questo tipo di approccio e inoltre lo sforzo è anche di renderlo piacevole (ride ancora).

Proprio in rapporto a quanto appena detto, volevamo chiedere: come ti poni rispetto all’opera documentaristica di stampo classico di Wang Bing , autore che qui a Venezia è di casa e che in Italia ha un certo seguito e che tratta argomenti tutto sommato simili ai tuoi?
Debbo dire che non conosco in maniera approfondita l’opera di Wang Bing, tuttavia per quello che ho avuto modo di vedere posso dire  che lui ha il suo modo di girare, il suo stile e che lo reitera all’interno di ogni documentario. Quello che invece cerco di fare io è tentare di rinnovarmi continuamente, reinterpretare quello che vedo anche in funzione del soggetto, creando sempre una nuova metodologia del lavoro. A mio avviso seguire sempre la stessa strada non ha senso.

Ieri in conferenza stampa abbiamo notato la totale assenza di troupe cinesi, solitamente presenti in forza quando un'opera cinese viene presentata in un grande festival, evento che a nostra memoria non si è mai verificato, neppure quando alla Mostra c’erano autori “scomodi”. Ci sembravi quasi tormentato da questo fatto, ma non capivamo se più arrabbiato o deluso. Ci puoi dire che cosa hai realmente provato?
Avete interpretato bene, perché nonostante in realtà ci fossero molte troupe cinesi qui al Lido, i primi giorni avevano solo diffuso il titolo del film e pochissimi commenti. Non ho avuto la possibilità di poter parlare del film, nei giorni seguenti qualcosa si è detto. Mi rendo però conto che nel film ci sono parecchie tematiche scottanti per la stampa ufficiale, come ad esempio la pneumoconiosi che non viene vista come un tema affrontabile né tanto meno piacevole, nello stesso modo del discorso sulle miniere. Mi sono sentito amareggiato, ovviamente nonostante l’apprezzamento che ho invece ricevuto dalla stampa estera. La stampa cinese purtroppo non è indipendente, quindi nel momento in cui c’è il divieto di parlarne imposto dall’alto, è chiaro che il giornalista è impossibilitato ad esprimersi.





Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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