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Le ricette della signora Toku - Recensione

Le ricette della signora Toku - Naomi Kawase - 2015Naomi Kawase dirige un dramma toccante e poetico che affronta con semplicità disarmante il tema della morte. Una riflessione preziosa sulla vita e lo scorrere del tempo, che nonostante qualche eccesso retorico regala profonde emozioni

Ad alcuni mesi di distanza dalla presentazione ufficiale al Festival di Cannes 2015 arriva nelle sale Le ricette della signora Toku, il nuovo potente lavoro di Naomi Kawase. Presenza ormai costante sulla Croisette, dove aveva conquistato nel 2007 il Gran Premio della Giuria con il suo The Mourning Forest, la regista giapponese realizza forse il suo film più accessibile al grande pubblico, portando sullo schermo una storia che adotta molti degli stilemi tipici del cinema giapponese. La trama è quasi evanescente, articolata in un racconto minimalista molto allineato ai canoni classici.
Sentaro (Masatoshi Nagase) gestisce un chiosco di dorayaki, i dolci tipici giapponesi ripieni di una marmellata di fagioli rossi (detta an, da cui il titolo originale). Non ama particolarmente il suo lavoro, e ha spesso un rapporto scorbutico con la sua clientela. Solo l’adolescente Wakana (Kyara Uchida) sembra godere della sua simpatia, forse per via di un sentimento di disagio e amarezza verso la vita che condividono. Quando l’anziana signora Toku (Kirin Kiki) si offre come aiutante nel piccolo negozio, Sentaro non riesce a superare subito l’iniziale diffidenza. Una volta assaggiata la straordinaria marmellata preparata dalla donna, però, si convince ad assumerla. Sarà l’inizio di un felice rapporto non solo lavorativo, ma anche umano, che arricchirà entrambi portando alla luce le sofferenze di un passato taciuto e mai dimenticato.
Adattamento dell’omonimo romanzo An di Durian SukegawaLe ricette della signora Toku è un’ode sincera e poetica alla vita e ai suoi piaceri più semplici. La sceneggiatura è estremamente lineare, ma non per questo poco incisiva. Nonostante alcune ingenuità nella caratterizzazione dei personaggi, spesso riconducibili ad archetipi leggermente stereotipati e vicini al dorama televisivo, i protagonisti mostrano una carica emotiva capace di riscattare in parte alcune evidenti debolezze di scrittura. Le atmosfere sospese e rarefatte (principalmente nella prima parte) sembrano voler acuire la percezione del pubblico, stimolandone l’esperienza sensoriale. Il cibo diventa allora un pretesto per riflettere sulla propria realizzazione e sulla ricerca della felicità, focalizzando l’attenzione sui piccoli particolari e rivalutando il concetto di attesa come ingrediente indispensabile per dare compiutezza e giusto valore agli sforzi personali. La cura meticolosa con cui Toku segue i passi delle sue ricette si trasforma quindi in un rito interiore con cui affrontare le difficoltà e le prove durissime a cui sottopone la vita. L’idea della morte (esplicitata nell’immagine tipica della fioritura dei ciliegi) aleggia infatti costantemente, così come quella legata alla crudeltà spietata del pregiudizio, capace di generare sofferenze ben più profonde e difficili da sanare. Peccato che nella seconda parte emerga un lirismo spesso sovraccarico, che cede all’effetto retorico perdendo quella essenzialità sussurrata che trae dalle reticenze e dai silenzi la sua forza.
Naomi Kawase dirige con la consueta bravura, adottando movimenti di camera ridotti al minimo e inquadrature fisse che esaltano la ricchezza espressiva dei volti e la potenza visiva degli ambienti. L’autrice giapponese ricorre spesso all’uso di primi piani stretti, cogliendo dettagli apparentemente inessenziali e caricandoli di valenza rivelatrice. L’elemento naturale è sempre presente, integrato in maniera evocativa e simbolica all’interno della messa in scena, quasi a scandire il tempo in una maniera differente da quella a cui il pubblico è abituato, sottraendolo ai ritmi forsennati imposti dalla modernità. Un grande contributo è dato in tal senso dalla pregevole fotografia dell’esordiente Shigeki Akiyama, che conferisce alle immagini nitidezza e luminosità.
Kirin Kiki offre una grande interpretazione, valorizzando un cast non propriamente impeccabile. La grande attrice conferisce al suo personaggio un’umanità toccante e autentica, alternando con abilità leggerezza e tono drammatico. Si tratta dell’ennesima dimostrazione di bravura dopo le ammirevoli collaborazioni con Hirokazu Koreeda, tra cui il suo ruolo nel recente Little Sister, lungometraggio con cui questo lavoro condivide peraltro alcune affinità.

Le ricette della signora Toku è una pellicola tenera e commovente, che racconta con grande fascino e sensibilità le piccole ricchezze di una vita semplice. Nonostante qualche eccesso di lirismo e una tendenza retorica ricorrente, l’opera della Kawase colpisce lo spettatore per il suo impianto poetico, sicuramente imperfetto, ma comunque profondamente toccante.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

1 commento

  • Adriana
    Adriana Martedì, 15 Dicembre 2015 11:48 Link al commento Rapporto

    Certo che un titolo italiano piu' brutto non lo potevano trovare ...

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