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Tommaso - Recensione (Venezia 73 - Fuori Concorso)

Tommaso - Film - 2016 - Recensione - Kim Rossi StuartKim Rossi Stuart torna alla regia riprendendo in mano il personaggio di Tommaso, il protagonista del suo primo lavoro Anche libero va bene, nel momento in cui è un uomo adulto, un erotomane alle prese con la difficoltà a relazionarsi con l’altro sesso. Siamo dalle parti di Shame, ma senza raggiungere i picchi estremi del film di McQueen e con un personaggio che richiama alla mente la spigolosità di Moretti e l’ironia di Allen: insomma, un bel pastrocchio

Sono passati dieci anni da quando Kim Rossi Stuart esordì con il suo primo film dietro la macchina da presa, Anche libero va bene, un lavoro che regalava al panorama cinematografico nostrano se non altro un regista capace di scandagliare l’universo delle dinamiche famigliari in maniera non scontata, fuori dagli schemi della solita commedia italiana, quella del ‘cinema due camere e cucina’ che imperversava negli anni Duemila. Con Tommaso, presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2016, Rossi Stuart riprende in mano la macchina da presa, ma l’esito della sua nuova fatica è alquanto deludente. Il lungo periodo di inattività dietro la cinepresa non ci restituisce un regista più consapevole del suo ruolo, come era lecito aspettarsi, ma al contrario è il risultato di una profonda crisi di ispirazione, che si è tradotta in un autobiografismo sempre più ancora di salvezza per quei cineasti che credono che i film possano essere una seduta di psicanalisi, a proprio uso e consumo, con cui esorcizzare tormenti e ossessioni.
Il Tommaso del titolo è lo stesso protagonista di Anche libero va bene, ma in versione adulta. Interpretato dallo stesso Rossi Stuart, l’uomo è un attore con aspirazioni da regista (guarda caso), in crisi sentimentale e artistica, che cerca un sostegno presso uno psicologo perché non sa gestire i rapporti interpersonali, in primis quelli con l’altro sesso: ha una relazione con una ragazza per cui non prova più alcun tipo di attrazione e vive con sofferenza l’idea di rimettersi in gioco con un nuovo film. Tornato single dopo aver fatto di tutto per farsi lasciare dalla compagna con cui conviveva da anni, Tommaso dà libero sfogo agli istinti di una libidine che fino ad ora era rimasta latente e che lo porta a fantasticare su qualsiasi donna con cui incrocia lo sguardo. I suoi occhi sono continuamente attratti da seni, gambe, fondoschiena, le cui forme sono messe in evidenza da ragazze disinibite con cui sogna di avere rapporti sessuali. La libertà riconquistata, grazie alla quale riesce a intessere qualche avventura sentimentale, non sembra aiutarlo a superare la sua cronica incapacità di trovare completa soddisfazione nelle relazioni con le donne. Dietro il suo essere una sorta di erotomane con annesso senso di colpa si nasconde un problema profondo, un trauma che riguarda l’abbandono della madre quando era un bambino e che si ripropone costantemente sotto forma di incubi.
Bisogna almeno riconoscere a Rossi Stuart di aver cercato di affrontare il tema del disagio relazionale da una prospettiva sessuale e psicologica senza infingimenti e in tutta la sua cruda verità, con un’abbondanza di nudi e dettagli anatomici dei corpi femminili, funzionale alla rappresentazione delle pulsioni erotiche insite nell’uomo e dei suoi meccanismi e priva di qualsiasi tentazione pruriginosa. Il che, per un film riconosciuto d’interesse culturale dalla Direzione Generale Cinema (sic!), mostra un certo coraggio. Stop, le cose buone finiscono qui, perché per il resto c’è poco da salvare.
Il regista e attore mette a nudo nevrosi e perversioni del suo personaggio con un film 'ombelicale', ripiegato su un'introspezione che nasce dal proprio vissuto personale (per stessa ammissione di Rossi Stuart), incapace di rendere partecipe lo spettatore di ciò che accade sullo schermo. Senza voler fare paragoni improbi, Tommaso è una versione all’italiana di Shame, quindi con molta commedia dentro (se lì il protagonista si masturbava guardando video porno al computer, qui Rossi Stuart si limita a sbirciare con il binocolo le vicine di casa che girano nude davanti alle finestre) e senza i picchi estremi del film di Steve McQueen, con un personaggio che domina la scena attraverso una spigolosità che ricorda Nanni Moretti e una nevroticità tagliente alla Woody Allen.

I vari ingredienti che confluiscono nel racconto sono mal amalgamati, e ben presto si tramutano in una maionese impazzita, appesantita da continui inserti onirici (ripetute visioni di vermi che suggeriscono una recrudescenza a cui Tommaso vuole dare una risposta) che dovrebbero esplicitare il tormento del protagonista e che invece sembrano dei corpi estranei al racconto. In più aggiungiamoci la non convincente interpretazione di Rossi Stuart, un po’ forzata nell’esaltare i toni da commedia della prima parte, più a suo agio con le corde drammatiche della parte finale che sembrano più adatte alle sue indubbie qualità di interprete.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 1.5

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