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Terminator Genisys - Recensione

La saga ideata da James Cameron torna al cinema con un nuovo deludente capitolo. L’ennesimo tentativo commerciale di sfruttare personaggi iconici ormai ridotti a macchiette prive di fascino

Ancora una volta il giorno del giudizio è arrivato, ed è un giudizio impietoso. Il nuovo capitolo della serie Terminator è infatti una rivisitazione maldestra e revisionista del soggetto creato da James Cameron ormai più di trent’anni fa. Riuscire a superare la compiutezza dei primi due episodi era indubbiamente un compito difficile, così come testimoniato dai seguiti dimenticabili realizzati nel corso degli anni. Tuttavia questa poteva essere l’occasione per rimediare agli errori passati, rilanciando la saga e aggiornandola: tentativo fallito, purtroppo.
La trama si riallaccia agli eventi narrati nei film precedenti: John Connor (Jason Clarke) invia Kyle Reese (Jai Courtney) indietro nel tempo fino al 1984 per proteggere Sarah Connor (Emilia Clarke) dal cyborg assassino che vuole ucciderla. Al suo arrivo, tuttavia, trova una linea temporale completamente alterata, proiettata verso un futuro alternativo che porta inevitabilmente all’annientamento della razza umana. Con l’aiuto di un esemplare robotico rottamato di T-800 (Arnold Schwarzenegger), i protagonisti tenteranno di impedire la fine del mondo cercando di distruggere Skynet sul nascere.
La storia di Terminator Genisys è un pretesto ignobile per azzerare il continuum temporale e poter riavviare gli eventi ignorando quanto visto finora. Con un colpo di spugna che sfrutta in maniera ambigua e poco chiara la dinamica dei viaggi nel tempo, si procede alla creazione di un nuovo intreccio confusionario e scarsamente credibile, in cui si moltiplicano le debolezze strutturali, le lacune narrative e i paradossi irrisolti. Ormai i personaggi sono una caricatura indigesta dei loro archetipi originali, privi del fascino e dello spessore che ne avevano decretato il successo. La storia è intrisa di dialoghi banali e situazioni che scadono nel ridicolo (in)volontario, con un umorismo spesso gratuito e fuori contesto. Non è un caso che accanto al nome della sceneggiatrice Laeta Kalogridis figuri quello di Patrick Lussier (autore degli ‘infami’ San Valentino di sangue 3D e Drive Angry). Si avverte in particolare l’impoverimento della carica drammatica, emotiva e immaginifica dell’elemento fantascientifico puro, qui usato come semplice contenitore di cliché privi di attrattiva.
La regia di Alan Taylor è basata principalmente sull’uso ipertrofico delle scene d’azione, con un’accumulazione di effetti speciali che mira solo al sensazionalismo visivo. L’autore non va oltre la sterile riproposizione di situazioni già viste, con una ridondanza che non ha nulla a che fare col citazionismo o l’omaggio affettuoso. L’uso della computer grafica è spesso stucchevole (come nella ricostruzione digitale della versione ringiovanita di Schwarzenegger), nonostante un discreto livello tecnico ed un uso del 3D di buona fattura. La fotografia di Kramer Morgenthau (già collaboratore di Taylor in Thor: The Dark World) si integra male nel contesto di un impianto scenico complessivamente privo di elementi in grado di valorizzare le caratteristiche del genere trattato. Inconsistente la colonna sonora di Lorne Balfe, il cui unico espediente è quello di ricorrere costantemente al tema classico di Brad Fiedel. Deludente anche la prova del cast: Jason ClarkeJai Courtney offrono una prestazione anonima e poco convincente, mentre Schwarzenegger è ormai prigioniero in un ruolo metacinematografico quasi caricaturale.

Terminator Genisys è un film sostanzialmente inutile e povero di spunti, che non arricchisce la saga ma la appiattisce seguendo la strada della reiterazione. La scena extra dopo i titoli di coda fa purtroppo temere l’arrivo di ulteriori capitoli: la paura è che neanche una linea temporale totalmente nuova sia in grado di sottrarre una serie ormai esausta al suo destino di morte creativa.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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