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Everest - Recensione

Avventura in 3D in cima alla vetta più alta del mondo, Everest condisce in modo fiacco azione ed emozioni ripercorrendo le gesta estreme di un gruppo di alpinisti realmente esistiti. Film di apertura della 72esima Mostra del Cinema di Venezia

Cosa spinge l'uomo a cercare di superare i propri limiti? Perché un individuo dovrebbe imbattersi in una sfida estrema con se stesso e la Natura sapendo di correre il rischio di andare incontro alla morte? Quale piacere muove il desiderio di valicare i confini di uno spazio in cui la vita umana non potrebbe esistere? Sono alcuni degli interrogativi che si celano dietro la storia di Rob Hall e Scott Fischer, due scalatori professionisti realmente esistiti, entrati nella finzione cinematografica grazie ad Everest.
Il film di Baltasar Kormákur, scelto per aprire la 72esima Mostra del Cinema di Venezia, ripercorre la loro tragica morte in una spedizione sull'Everest nel maggio del 1996, quando sei membri di due gruppi di alpinisti guidati da Hall e Fischer persero la vita insieme a loro sulla via di ritorno al campo base dopo aver raggiunto la vetta più alta del mondo. La mancanza di ossigeno, le condizioni meteorologiche estremamente avverse e la scarsa preparazione fisica di alcuni membri della spedizione furono all'origine della tragedia. Hall e il suo amico avevano sfruttato le loro abilità di guida nella scalata all'Everest per mettere in piedi un business che permetteva a persone anche senza una lunga esperienza di essere accompagnate in cima alla montagna. Un'attività ricca di insidie, se si pensa che sono state circa 200 le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere una delle vette più inaccessibili sulla Terra, quasi 9000 metri di altitudine da cui osservare il mondo ai propri piedi.
Everest ci racconta la dolorosa salita del maggio 1996 concentrandosi prima sugli aspetti della vita privata dei partecipanti (soprattutto di Hall) e poi sulle difficoltà della scalata passo dopo passo. Per certi versi ricorda molto un altro film che ha aperto la Mostra di Venezia qualche anno fa, ovvero Gravity. Certo, cambiano gli scenari e il genere di appartenenza, però tutti e due i film cercano di mettere in evidenza la fragilità dell'uomo, i suoi limiti nella capacità di affrontare le avversità in uno spazio inospitale. Ma mentre Gravity poteva vantare una sapiente messa in scena che sapeva come esaltare drammaturgicamente e visivamente le situazioni di pericolo vissute dai personaggi incutendo nello spettatore una continua sensazione di vertigine, Everest sembra invece puntare tutto sul lato emozionale senza sfruttare sul piano registico gli ottimi spunti offerti dall'ambientazione. Kormákur porge il suo sguardo al servizio di una fiacca partitura da film di avventura di stampo hollywoodiano, alternando emozioni a comando e un buon intrattenimento con i soliti effetti speciali di ottima fattura a fare da collante tra una scena e l'altra in cui peraltro il 3D risulta completamente intangibile.

Gli interpreti sono tutti credibili e in parte, in particolare Jason Clarke, bravo nel dare un'anima quasi romantica a Rob Hall, che vede nel suo lavoro una vocazione, non solo una mera fonte di lauti guadagni come alcuni suoi colleghi, bensì una missione di condivisione di una passione con altre persone. Resta il fatto che non si capisce perché mai questo film abbia aperto Venezia 72: noi ve lo consigliamo per una classica serata a base di popcorn e Coca-Cola rigorosamente seduti sul divano di casa. Ma per inaugurare una kermesse come la Mostra del Cinema serviva ben altro.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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