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Inside Out - Recensione

Archiviate alcune opere minori, la Pixar torna grande con Inside Out, una pellicola che regala risate ed emozioni con ritrovata inventiva e sensibilità

Dopo aver creato per anni una serie di magnifici lungometraggi con straordinaria continuità, la Pixar sembrava aver accusato una preoccupante flessione creativa, sfociata in lavori meno riusciti e decisamente più commerciali. Mantenere lo standard altissimo a cui ci aveva abituato la compagnia californiana era effettivamente un’impresa difficile, considerata anche la crescita qualitativa dei prodotti della concorrenza. Serviva quindi un nuovo progetto in grado di restituire al pubblico quella animazione matura e trasversale che tanto entusiasmo aveva creato in passato. Per fare questo, il regista Pete Docter (già autore nel 2001 dell’indimenticabile Monsters & Co.) ha avuto l’idea di ambientare un film dentro la mente umana, dando forma a passioni e sentimenti attraverso una storia delicata e sorprendente.
Riley è una tenera bambina di undici anni: conduce una vita tranquilla nel Midwest, ha una famiglia amorevole e ama giocare a hockey. Un gruppo di emozioni personificate (Gioia, Rabbia, Disgusto, Tristezza e Paura) la guidano nel suo percorso di formazione, memorizzando ricordi ed esperienze all’interno di una sala controllo e forgiandone il carattere. Quando i suoi genitori decidono di trasferirsi a San Francisco, Riley si trova di fronte a un avvenimento doloroso e imprevisto. Proprio l’aiuto delle sue emozioni sembra essere essenziale per superare le nuove difficoltà, ma un incidente improvviso spinge Tristezza e Gioia fuori dalla stanza di comando. Con Paura, Rabbia e Disgusto bloccati al quartier generale e gli altri sentimenti smarriti nei meandri della mente, Riley rischierà di perdere non solo i suoi ricordi, ma anche i suoi affetti.
Pete Docter e i suoi collaboratori firmano una sceneggiatura spesso brillante, in grado di fondere con abilità divertimento e introspezione. Nonostante l’utilizzo di molti luoghi comuni nel descrivere le tipiche dinamiche familiari e comportamentali, gli autori sono comunque riusciti a riqualificare alcuni stereotipi, fornendo loro una dignità narrativa funzionale allo sviluppo della storia. Se certi passaggi soffrono di un'inaspettata stanchezza e superficialità, altri stupiscono per inventiva e trasporto, alternando momenti comici a lampi di profonda commozione. L’aspetto più riuscito della pellicola è proprio questo suo equilibrio fra situazioni contrastanti, che è anche il messaggio di fondo della storia: non bisogna mai abbandonarsi allo sconforto, perché la vita è un mosaico complesso di sentimenti cangianti, in cui anche la tristezza e il dolore giocano un ruolo essenziale. Forse è questa emotività toccante a riscattare in parte i limiti di Inside Out, attenuando una serie di debolezze legate principalmente ai cali di ritmo e a scelte a volte un po’ troppo ruffiane e rassicuranti.
Il film della Pixar colpisce per il suo ricco impianto visivo, in grado di rappresentare concetti tipici delle scienze cognitive e dei fenomeni dell’inconscio con un approccio naturale e un simbolismo immediato. Alcune soluzioni sono meno fulminanti e riuscite, come la caratterizzazione dei personaggi basata su un’antropomorfizzazione ricondotta a canoni figurativi abbastanza scontati, ma l’architettura complessiva mostra una carica immaginifica pregevole.
La regia di Pete DocterRonaldo Del Carmen è curata e sempre puntuale, supportata da una computer grafica 3D di altissimo livello. Ben assortito anche il cast di doppiatori originali, su cui spiccano le interpretazioni di Amy Poehler (Gioia) e Lewis Black (Rabbia). Michael Giacchino ritrova finalmente la sua dimensione più intima, realizzando una colonna sonora coinvolgente e piacevolmente inserita all’interno del tessuto narrativo.

Inside Out è una pellicola che dispensa commozione e divertimento, mescolando invenzioni visive e sentimenti, leggerezza e profondità. Sui titoli di coda (in pieno stile Pixar) si legge in chiusura la frase: “Dedicato ai nostri bambini. Non crescete, mai.”. Forse è ancora possibile crederci, anche se solo per la durata di un film.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Video

Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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