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Ant-Man - Recensione

Dopo una travagliata lavorazione, l’eroe Marvel in grado di miniaturizzarsi arriva in sala. Risate e sano intrattenimento in un prodotto ben confezionato e senza pretese

L’idea della realizzazione di un lungometraggio dedicato ad Ant-Man era ormai in circolazione da più di vent’anni. Tuttavia le difficoltà tecniche e produttive avevano fermato il progetto in attesa di una buona storia da raccontare e di mezzi adeguati per poter mettere in scena l’elaborato impianto visivo associato al personaggio. Sembrava che tutto si fosse sbloccato con l’arrivo di Edgar Wright, che aveva preso in mano il progetto arrivando, dopo varie riscritture della sceneggiatura, quasi all’inizio delle riprese. Eppure il talentuoso autore britannico abbandonò per divergenze creative il film, lasciando di nuovo nel caos la lavorazione.
C’era quindi molta preoccupazione nel vedere il prodotto finito, specialmente dopo l’ingresso del nuovo regista Peyton Reed, noto soprattutto per una serie di commedie tutt’altro che memorabili. Eppure il risultato finale è una piacevole sorpresa, una pellicola divertente e realizzata con mestiere, che per disimpegno e leggerezza si colloca vicino alle atmosfere de I Guardiani della Galassia.
La trama si concentra su alcuni aspetti del fumetto, aggiornando ovviamente il contesto e giocando con i generi contaminandoli. Il dottor Hank Pym (Michael Douglas) scopre una particella capace di alterare le dimensioni del proprio corpo, conferendogli al contempo una forza sovrumana. Il suo scopo è utilizzarla come strumento al servizio del bene, ma quando si rende conto che il suo uso potrebbe mettere in pericolo la pace mondiale decide di ritirarsi, nascondendo ogni traccia della sua scoperta e affidando il suo impero al protégé Darren Cross (Corey Stoll). Insensibile alle preoccupazioni del suo mentore, Cross riprende le ricerche per produrre un’arma da vendere ad acquirenti senza scrupoli. Pym inizia quindi a cercare un nuovo discepolo in grado di sfruttare la sua invenzione per il bene dell'umanità. La scelta ricade su Scott Lang (Paul Rudd), un ladruncolo che ha messo a frutto la sua intelligenza per svaligiare appartamenti. Seguendo i consigli dello scienziato e l’addestramento di sua figlia Hope van Dyne (Evangeline Lilly), Lang acquisisce l’abilità di rimpicciolirsi fino alle dimensioni di un insetto, riuscendo con una tecnologia prodigiosa a controllare a suo piacimento il comportamento delle formiche. Motivato dall’amore verso la piccola figlia e supportato da alcuni fedeli amici, Lang dovrà intrufolarsi nei laboratori di Cross per distruggere la sua creazione, diventando l’eroe di cui il mondo ha bisogno.
Il contributo di Wright nella sceneggiatura è evidente fin dalle prime battute del film: molte scene portano infatti la firma stilistica tipica dell’autore (dialoghi veloci, montaggio serrato, ironia dissacrante), riconoscibile nella mescolanza stravagante di azione e battute sferzanti. Paul Rudd e Adam McKay hanno rielaborato lo script iniziale stemperandone principalmente gli aspetti più radicali, inserendo nuovi personaggi e contestualizzando il film all’interno dell’universo Marvel. Il timore era infatti che la storia di Wright si scostasse troppo dalla continuità cinematografica costruita in questi anni, portando ad un capitolo eccessivamente atipico. Tuttavia parte di questa diversità è stata mantenuta, e costituisce una delle risorse migliori dell’intero lungometraggio. La trama è decisamente meno sovradimensionata e pretenziosa di altri cinecomic, e punta su pochi personaggi sufficientemente delineati, in modo da dare un’attenzione maggiore allo sviluppo delle dinamiche narrative. Sembra che insieme al protagonista vengano rimpicciolite anche le manie di grandezza, regalando una dose di leggerezza in grado di dare respiro al racconto. Nonostante alcuni passaggi risultino forzati (come il collegamento un po’ ingenuo con i Vendicatori) e la scansione temporale degli avvenimenti sia a volte approssimativa, la pellicola procede con un buon ritmo senza cali di attenzione. Non mancano molti luoghi comuni, soprattutto per quanto riguarda l’innesto delle vicende familiari all’interno della trama, però la comicità scanzonata e irriverente con cui molto spesso si stemperano tali momenti riesce ad attenuarne la debolezza. Ed è proprio questa alternanza continua di registri la parte più riuscita, un ribaltamento che viene applicato anche sul piano visivo. Il mondo macroscopico in cui si muovono i personaggi e quello microscopico in cui agisce il protagonista si succedono in un capovolgimento di prospettive riuscito e accattivante, interagendo in maniera inaspettata e divertente. Questo effetto di vertigine viene ben utilizzato fino alla mise en abîme finale, che sembra estremizzare il concetto lanciando lo spettatore verso l’infinitamente piccolo.
La regia di Peyton Reed (che deve molto anche ad alcuni classici del cinema sci-fi) offre alcune buone trovate visive, ed è abbastanza abile nel variare i piani del racconto dando vita a molte sequenze di grande impatto. Si nota il contributo della fotografia del premio Oscar Russell Carpenter, soprattutto per quanto riguarda le transizioni dei punti di vista e le trasformazioni dell’ambiente in cui è immerso il protagonista. Notevole il comparto degli effetti speciali: nonostante il budget non fosse allineato a quello di altri prodotti del genere superomistico Marvel, la resa degli inserti digitali è molto realistica, supportata da un buon uso del 3D. La scelta di non cedere a una spettacolarità ipertrofica e megalomane ha permesso evidentemente di curare meglio i dettagli, evitando di essere ridimensionati (qui è il caso di dirlo) dalle proprie ambizioni, come avvenuto per il meno riuscito secondo capitolo degli Avengers. Discreta la prova del cast, in cui spiccano le solide interpretazioni di Paul RuddMichael Douglas (qui di nuovo in forma dopo il pessimo The Reach). In attesa del sequel annunciato, non resta che affidarsi all’immancabile scena dopo i titoli di coda per avere qualche anticipazione sui prossimi sviluppi della saga.

Ant-Man è una pellicola piacevole e leggera, che fa delle sue dimensioni contenute (in tutti i sensi) il proprio punto di forza, abbandonando le derive seriose e il gigantismo retorico di altri film Marvel, riscoprendo l’ironia e il senso di meraviglia come ingredienti necessari per portare efficacemente sul grande schermo il mondo degli eroi a fumetti.




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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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