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Suburbicon - Recensione (Venezia 74 - In concorso)

In una tranquilla cittadina americana si perpetrano soprusi e violenza più o meno manifestamente. Tra commedia nera e cinismo caustico, George Clooney torna alla regia su una sceneggiatura pensata originariamente dai fratelli Coen. E si vede fin troppo bene

Alla fine degli anni Sessanta una piccola cittadina negli Stati Uniti è rinomata per la sua quiete, la serenità, la convivenza pacifica di tutti i suoi abitanti che qui si trasferiscono da tutto il paese. Questa è Suburbicon, in cui abita anche la famiglia Lodge. Loro sono Gardner, il padre, Margareth, sua moglie, Nicky, il figlio di nemmeno dieci anni e Rose, sorella di Margareth. Quando in città arriva una famiglia di afro-americani, i Meyers, i suoi cittadini si ribellano perché non vogliono 'neri' nella loro comunità. Innanzitutto costruiscono attorno a casa loro una staccionata, per poi assediarla suonando e cantando giorno e notte senza sosta. I soprusi non si fermano e al supermercato come per strada i Meyers sono vittime della sfacciata opposizioni dei cittadini di Suburbicon. Un giorno l'intolleranza esplode e mentre la polizia cerca di contenere la folla, alcuni distruggono la loro casa e la loro auto. Di tutto questo sembrano non occuparsene i Lodge, vicini di casa dei Meyers, in quanto intenti a perpetrare la loro personale violenza. Gardner e Rose, infatti, hanno architettato un piano in apparenza molto astuto, per sbarazzarsi di Margareth e ottenere i soldi dell'assicurazione sulla sua vita. Non hanno fatto i conti, però, con il piccolo Nicky, che cerca di fare chiarezza su ciò che sta accadendo fuori e dentro la sua casa. 
L'impianto narrativo di Suburbicon richiama una commedia nera che giunge al thriller e concettualmente pone in evidenza l'imperfezione della società americana. Il contesto è quello degli anni Sessanta, ma l'immoralità, l'imperfezione, il bigottismo, il sopruso, il tradimento, i muri (o staccionate), il rifiuto del dialogo sembrano rimandare all'America di oggi. Tralasciando le implicazioni e i riferimenti politici e sociali della sceneggiatura scritta dai fratelli Coen e concentrandosi sugli aspetti più cinematografici, i temi del film sono posti in evidenza dalla regia di George Clooney su vari livelli. La commedia nera, l'humor sarcastico, acido e tagliente prevalgono nella caratterizzazione dei personaggi, in particolare quelli attorno ai Lodge. Questi sono cattivi e goffi, spietati e affascinanti, inquietanti e ammaliatori nel loro perseguire il male. I primissimi piani dei loro volti impassibili, il gigno malefico che si palesa su Gardner Lodge (Matt Damon) ogni qual volta decide di sbarazzarsi di un cadavere, l'insicurezza emotiva di Rose (Julianne Moore, che interpreta anche Margareth), rivelata sia nel difendersi dalle accuse di truffa dello spietato e arrivista agente assicurativo Roger (Oscar Isaac) sia nel modo in cui schiaccia con il mattarello una grossa quantità di pillole con cui condisce il sandwich di Nicky (Noah Jupe) sono tutti elementi che portano il nero della commedia al thriller. Come, quindi, i cittadini di Suburibocon attaccano con rabbia la casa dei Meyers, in quella dei Lodge scorrono altrettanto sangue e violenza, misto a mistero e dubbio. Il montaggio parallelo delle due piste narrative, infatti, mostra in un comune climax ascendente di tensione che la situazione sta degenerando irreparabilmente, anche se la vicenda dei Lodge fino all'ultimo non è del tutto chiara. La musica composta da Alexander Desplat, come ultimo elemento linguistico, infine, è funzionale alla creazione di tutto questo, non lasciando alcun momento di riflessione sullo spettatore che si trova invaso dal crescere della musica frenetica e ossessiva.
La sceneggiatura dei Coen (riadattata dalla prima stesura datata anni Ottanta insieme a Grant Heslov e allo stesso Clooney), pone come perno di tutto Nicky. Il regista evidenzia il valore del personaggio innanzitutto come la chiave di scoperta per il pubblico di ciò che sta accadendo. Il ragazzo, infatti, guarda stupito i disordini a casa Meyers, allo stesso modo in cui si rende conto che il padre, a riguardo del rapimento e della morte della madre, non è stato con lui del tutto sincero, scopre esterrefatto la relazione tra lui e la zia o ascolta segretamente i loro discorsi su come fuggire con i soldi dell'assicurazione. Per questo il regista impone al personaggio uno sguardo di dubbio che si trasforma in paura e incredulità soprattutto per la brutalità del padre, poi in rabbia sempre contro Gardner che lo considera un bambino ingenuo da imbonire e smentire facilmente e infine nella sua rassegnazione più fredda nei confronti di tutto quanto accade attorno a lui. Nicky sembra, infatti, non provare emozioni alla vista dell'ennesimo cadavere, tanto da uscire a giocare con il figlio dei Meyers, coetaneo e suo unico serio interlocutore, nella scena finale.
Dati tutti questi elementi, Suburbicon è in tutto e per tutto un film dei Coen che si muove tra FargoNon è un paese per vecchi Born After ReadingClooney lo gira correttamente, senza però, personalità. Questo è il vero dispiacere di questa pellicola. L'attore americano ha dimostrato ampiamente in passato di riuscire dietro la macchina da presa a rendere personali e proprie anche storie non scritte da lui direttamente, come Monuments Men, Le idii di marzo o In amore niente regole. Rimane il dubbio sul perché qui non ci sia riuscito.

In conclusione non si può affermare che il film non sia piacevole, ma nemmeno meritevole di troppe attenzioni o analisi approfondite sui temi e i loro riferimenti che potrebbero nascondere un reale problema d'identità cinematografica.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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