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Moonlight - Recensione (Festa del Cinema di Roma 2016 - Film di apertura)

Film di apertura dell’11esima Festa del Cinema di Roma, Moonlight offre uno spaccato in puro cinema indie delle comunità afroamericane, attraverso la storia in tre atti di un ragazzo di colore e del suo complicato passaggio all’età adulta

Moonlight si inserisce nel solco di quel cinema indipendente americano che si interroga sulla realtà quasi con una vocazione civile, senza però rinunciare a codici narrativi ed elementi estetici già ben consolidati. Un cinema impegnato, verrebbe da dire, che però non rischia quasi nulla sul piano della forma. È il limite di tanti film indie, che all’esplorazione di tematiche spesso ‘scomode’ non sempre associa una ricerca stilistica che va oltre le convenzioni di un linguaggio ruvido, in presa diretta. La Festa del Cinema di Roma del nuovo corso inaugurato dal direttore Antonio Monda sembra avere una predilezione per questa fetta di cinema americano quando si tratta di scegliere il film d’apertura. L’anno scorso toccò al film d’inchiesta Truth – Il prezzo della verità, sui rapporti tra stampa e potere politico, quest’anno la scelta è ricaduta sul racconto di formazione di Moonlight.  
Protagonista Chiron, uno di quei ragazzi di colore della periferia americana che sembrano avere la vita già segnata. Senza futuro in un sobborgo di Miami a contatto con oasi dello spaccio del crack, tormentato dai compagni di scuola che con continui dispetti, ripicche e botte gli insegnano il linguaggio della violenza, con una madre tossicodipendente che lo trascura e un padre che non c’è, si avvia verso il calvario che il destino è solito riservare a quelli come lui: riformatorio, poi dritto sulla strada a scalare le gerarchie della malavita che gestisce il traffico di droga. Arriva però il giorno in cui si troverà a dover scegliere se essere o non essere il prodotto del suo ambiente, di un sistema che lo condanna a un’esistenza difficile, resa ancor più complicata dalla sua omosessualità celata.
Scandito in tre parti che mostrano la crescita del protagonista dall’infanzia all’età adulta, Moonlight è puro cinema indie che vuole parlare della ricerca di un’identità per aprire gli occhi sulla realtà di quelle comunità falciate da abbandono e violenza da cui sembra impossibile emanciparsi. Nobili intenti di un regista (l’afroamericano di Miami Barry Jenkins) che sa quello di cui parla, ma che non riesce a dare coerenza allo stile al racconto (sempre in bilico tra crudo realismo e sprazzi di lirismo poetico che nascondono a volte virtuosismi tecnici del tutto inutili), peraltro senza evitare alcuni luoghi comuni e stereotipi di tanto cinema sul disagio giovanile. Se alla fine il film riesce a portare a casa la sufficienza, è grazie a un toccante terzo atto in cui si tirano le somme con dialoghi, cifra stilistica, interpretazioni del cast che si muovono in sottrazione, trovando la giusta misura per scavare negli abissi della condizione di Chiron, da bambino gracile a uomo tutto muscoli prigioniero di una corazza che lo protegge e al tempo stesso lo isola da quel mondo in cui cerca un posto.

Pur con tutti i suoi limiti, Moonlight si rivela uno spaccato intimista delle comunità afroamericane che affronta con sensibilità il legame tra l'individuo e l'humus sociale del contesto in cui vive.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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