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Go with Me - Recensione (Venezia 72 - Fuori concorso)

Film deludente ed ovvio, Go with Me di Daniel Alfredson si avvale di abusati stereotipi e di stantie atmosfere, senza regalare nulla che meriti di essere ricordato

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015Go with Me di Daniel Alfredson è lavoro che passa senza lasciare alcun segno, ben lungi dalle accattivanti atmosfere dei primi film del regista svedese.
Ambientato nella ormai più che stereotipata provincia americana di confine, la pellicola racconta di una giovane donna che, tornata a casa dopo la morte della madre, si trova a dover fronteggiare le attenzioni violente di un becero boss di provincia dedito al controllo di qualsiasi traffico si svolga nelle propaggini settentrionali dell’Oregon. La donna, consigliata dallo sceriffo pusillanime e ignavo, chiede aiuto a dei boscaioli che ben conoscono il marrano: si offriranno il più anziano ed il più giovane di essi di aiutarla, sperando con ciò di saldare i conti che pendono con l’uomo e che arrivano dal passato.
La storia diventa quindi ben presto un thriller che vorrebbe far breccia usando le più classiche atmosfere da film sporco e cattivo. Peccato che tutto ciò emani un odore stantio e una sensazione di già visto difficile da scrollarsi di dosso. Personaggi abbrutiti e violenti, risse da bar di quart’ordine, traffici di droga e di donne, violenze becere, camicie di flanella a quadrettoni a profusione, ambientazioni squallide e la sempre valida sete di vendetta che cresce facendo regredire l’uomo alla sua soglia animalesca, pick up sfasciati e cigolanti, carabine vetuste e alberi secolari, percorrono il film in lungo e in largo lungi però da regalare mai momenti degni di nota, neppure quando qualche frammento sembri voler ribaltare la prospettiva acquisita. Neppure i personaggi riescono a creare un feeling con chi guarda, ove si eccettui il cattivo che se non altro ha dei connotati ben delineati e che si avvale di una eccellente prova di Ray Liotta, sempre a suo agio con la cattiveria che sconfina nella psicopatia.
Insomma la rivisitazione delle atmosfere che fecero di Un gelido inverno un film indubbiamente ricco di fascino non funziona, proprio perché tutto sa di già visto, prescindendo tra l’altro dall’assurdità di alcune situazioni che in un film che vorrebbe fare della logica fredda criminale il suo punto di forza è difetto capitale. Si potrebbe parlare di opera che scruta gli abissi dell’animo umano, della violenza primordiale, dell’abbrutimento che taluni ambienti inculcano nelle persone, di thriller che tenta prima di tutto l’approccio psicologico: in effetti Go with Me non è nulla di questo perché si appoggia pesantemente su stereotipi abusati e perché la storia in se stessa mostra delle debolezze di scrittura notevoli.
Da quando Daniel Alfredson ha abbracciato il progetto Millennium di cui ha diretto la seconda e la terza parte, la sua opera è pesantemente scaduta al confronto coi lavori iniziali di puro stampo scandinavo che avevano ben altro spessore. Go With Me sembra essere un’altra tappa di una irreversibile crisi di ispirazione di cui non si vede l’uscita.
Detto di Ray Liotta, che regala le uniche note positive del film, Anthony Hopkins cerca di reggere la parte del vecchio in cerca di vendetta attraverso la protezione della giovane pulzella insidiata, di fatto troppo spesso appare più un vecchio pensionato velleitario che gira con la sua carabina obsoleta in cerca di giustizia personale. Anche Julia Stiles, più 'pienotta' del solito, non regala alcunché di rimarchevole.

Go with Me, possiamo starne certi, tra due mesi sarà nel dimenticatoio, accumulato nella catasta dei film che passano senza lasciare la benché minima traccia.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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