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Uncle Victory - Recensione (Far East Film Festival 2015)

Ancora un lavoro pregevole per Zhang Meng: Uncle Victory è una storia di riscatto all'ombra dei ruderi della Cina post-industriale

Quasi a continuare un viaggio attraverso i ruderi della Cina industriale del vecchio secolo costellata di enormi scheletri di cemento, testimonianza di una economia statale abbandonata e sostituita dalla nuova corsa economica al mercato, Zhang Meng ripropone in Uncle Victory quanto già genuinamente e splendidamente raccontato in The Piano in the Factory del 2010.
Uncle Victory è un criminale appena uscito di galera dove ha soggiornato per un bel po’ d’anni dopo una resa dei conti con gli ex compari. L’aspetto è di quelli da duro, molto simile a certi personaggi che il cinema di genere ci ha presentato in svariate salse, ma quando con le cattive maniere cerca di riprendersi quello che era suo - e cioè un vecchio teatro ormai adibito ad asilo - scopriamo che nel suo animo alberga una gentilezza e una sensibilità solo scalfite dalla galera e dai trascorsi non certo irreprensibili. Sulla sua strada si para Xiao Mei, una infermiera che arrotonda lo stipendio lavorando anche in un night club dove si canta Lemon Tree e The Song of Sunset e si balla la Lambada e dove appunto conosce l’uomo. Tra i due, come per un magnetismo misterioso, si crea un legame dapprima ambiguo, ma quando la donna si propone di aiutare Uncle Victory a gestire l’asilo il sodalizio diventa più chiaro e improntato a sentimenti più genuini: due esseri solitari, che la società dei consumi cinese sembra aver lasciato ai margini ma che albergano, seppur nascosta, una bontà d’animo sorprendente.
Il vecchio teatro quindi viene restaurato e adibito ad asilo e i due trovano nella cura dei piccoli ospiti una ragione quasi di riscatto, se non economico, almeno sociale ed interiore. Naturalmente il passato non è stato spazzato via del tutto e gli ex compari, tra cui uno che Uncle Victory ha spedito sulla sedia a rotelle, tornano a batter cassa, mettendo a repentaglio la nuova strada intrapresa dall’uomo. Non c’è però squallore ambientale né passato con cui saldare i conti che facciano breccia nella nuova vita che Uncle Victory e Xiao Mei hanno deciso di intraprendere, all’ombra dei lontani grattacieli che spuntano come funghi nella città e che stanno lì ad indicare un miraggio.
Buona parte del lavoro di Zhang Meng si basa sul rapporto tra l’uomo e la donna: dapprima quasi ostile, poi ambiguo ed infine venato di puro sentimento seppure tra sbalzi di umore che l’esistenza tetra causa in loro; sullo sfondo, ed è l’aspetto più bello e affascinante, nonché più efficace del film, un dipinto a tinte limpidissime di uno squallore che deriva dalla caduta di un modello di vita sociale ed economico testimoniato dalla incredibile immagine della città moderna che si staglia lontano quasi affacciata su un enorme cratere che prima era una cava e che ora è una immensa discarica, dove gli ex compari di Uncle Victory si sono stabiliti cercando la fortuna col commercio dei rifiuti. Il tutto però, si badi bene, condito da una certa ironia, oltre che da scelte musicali originali, come d’altronde fu già nel precedente lavoro del regista.
Il contrasto tra il passato evocato con rapidi flashback in bianco e nero o sbiaditi ed il presente a forti tinte è lo specchio della metamorfosi del protagonista: come in The Piano in the Factory gli scheletri post-industriali del passato sono lì nel loro cupo squallore a ricordare quello che è stata la trasformazione della Cina per quelli che l’hanno vista da lontano e che ne soffrono solo il disagio senza godere dei vantaggi ed il rimanere abbarbicati a questa edilizia in frantumi è quasi una forma di rifiuto del presente.
Uncle Victory è lavoro bellissimo, dominato da una regia perfetta, un film che sa scavare nel presente dei perdenti per trovare comunque in un angolo recondito la forza di continuare e di lasciarsi il passato alle spalle. L’ambientazione assecondata da una splendida fotografia, è l’aspetto che più di ogni altro colpisce nel film, un ambiente nel cui degrado però è capace di spuntare, seppure nella dolorosa solitudine, il fiore della rivalsa e della gentilezza creando un contrasto quasi stupefacente.

Insignito al Festival di Shanghai del Gran Premio della Giuria, il pubblico del Far East Film Festival 2015 lo ha ignorato a livello di riconoscimenti: a nostro avviso Uncle Victory risulta, insieme a 0.5 MM di Momoko Ando, di gran lunga il miglior lavoro dell’intera rassegna.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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