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Split - Recensione

Split - 2016 - RecensioneEsordio interessante per il regista coreano Choi Kook-hee, che dirige una storia di riscatto e redenzione a sfondo sportivo alternando ironia, azione e dramma. Un film sorretto da un buon ritmo, ma che cede spesso alla retorica dei buoni sentimenti senza mai sorprendere realmente lo spettatore. Presentato al Far East Film Festival 2017, ha ottenuto il secondo posto nella classifica di gradimento dell'Audience Award

A pochi mesi di distanza dalla sua uscita in patria (novembre 2016) arriva al Far East Film Festival Split, pellicola incentrata sul mondo del bowling e delle scommesse clandestine, che propone un riuscito mix di azione e dramma sportivo. La trama segue le vicende di Chul-jong (Yu Ji-tae), un ex giocatore prodigio costretto al ritiro per un grave infortunio al ginocchio. Ormai fuori dal circuito professionistico e perennemente in bolletta, Chul-jong si arrangia raggirando incauti avversari durante partite organizzate dalla socia Hee-jin (Lee Jung-hyun), anche lei sommersa dai debiti. L’incontro con Young-hoon (Lee Da-wit), ragazzo affetto da autismo ma fenomenale sulle piste da gioco, sembra per entrambi l’occasione ideale per fare soldi facili. I tre formeranno un’insolita squadra, ma scopriranno presto che la posta in palio è più alta di quanto possa sembrare, e che ognuno di loro ha ancora un conto aperto col passato.
Choi Kook-hee scrive e dirige il suo primo lungometraggio con una sicurezza insolita per un autore esordiente, confezionando un prodotto astuto di respiro internazionale. La sceneggiatura si basa infatti su un intreccio tipicamente hollywoodiano che, pur rielaborando in modo efficace e dinamico tematiche collaudate, non riesce a evitare cliché e comodi compromessi narrativi. La caratterizzazione dei personaggi sfrutta tutti gli elementi specifici delle storie di riscatto, in cui la riabilitazione avviene attraverso una conciliazione scontata con i propri trascorsi personali, ricalcando schemi consolidati che mirano ad assicurarsi il favore del pubblico. La descrizione del disagio comportamentale di Young-hoon, in tal senso, appare funzionale a garantire un costante livello di partecipazione emotiva. Choi Kook-hee è comunque abile a gestire il ritmo del racconto, adoperando spesso l’ironia per creare divertenti momenti di alleggerimento. La gestione della tensione risente però dell’eccessiva linearità degli avvenimenti, che si susseguono secondo una progressione scontata, incapace di introdurre elementi di discontinuità in grado di interrompere l’evoluzione verso il prevedibile finale.
La regia dimostra una certa intelligenza nella messa in scena, soprattutto nell’alternanza delle sequenze dedicate allo sviluppo narrativo con quelle in cui domina l’aspetto prettamente sportivo, ricorrendo anche a soluzioni visivamente interessanti. Nonostante l’esito dei match sullo schermo sia il più delle volte già noto, Choi Kook-hee compensa lavorando adeguatamente sulla gestione dei tempi, intrattenendo lo spettatore senza accusare mai cali di attenzione.
La prova del cast deve molto alle interpretazioni dei due protagonisti maschili, Yu Ji-tae (già apprezzato in vari lavori, tra cui Oldboy) e Lee Da-wit (giovanissimo e con una filmografia impreziosita da ruoli importanti, come quello in Poetry). Entrambi contribuiscono a valorizzare i rispettivi personaggi, formando una solida coppia sullo schermo su cui poggia gran parte della pellicola.

Split rappresenta senza dubbio un buon punto di partenza per la carriera di Choi Kook-hee, rivelandosi un’opera prima scaltra e smaliziata nel coniugare intrattenimento e dramma. Tuttavia, nonostante l’ironia spesso scanzonata di molte scene, la storia si abbandona a eccessi retorici senza avere mai il coraggio di privare il pubblico delle consuete dinamiche rassicuranti, esemplificate in un classico lieto fine fin troppo accomodante.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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