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Fabricated City - Recensione

Dopo dodici anni di assenza dal grande schermo, Park Kwang-hyun torna con un film d’intrattenimento e azione che si distingue per un pizzico di originalità in più rispetto ad altri lavori del panorama di massificazione degli action-movie

Il regista sudcoreano Park Kwang-hyun ha quest’anno ricalcato il palco del Teatro Nuovo del Far East Film Festival di Udine dopo ben 12 anni di assenza, non solo dal FEFF, ma in assoluto dalle scene, dopo il suo ultimo gran successo di pubblico del 2005, la 'dramedy' in tempo di guerra, Welcome to Dongmakgol. Alla luce del precedente lavoro e della riservatezza quasi timida con cui ha presentato il suo nuovo film Fabricated City (da lui scritto e diretto), tutto mi aspettavo fuorché un thriller pieno zeppo di azione e fuochi d’artificio e con una trama che si discosta un po’ dai tanti thriller ben confezionati ma tutti molto simili che la Corea sta sfornando in questi anni.
Kwon Yoo (Ji Chang-wook) è un ventenne, ex-atleta di taekwondo, squalificato e disoccupato, che vive con la madre e passa gran parte del suo tempo in un gaming point dove, nella realtà alternativa di un videogame, è a capo della squadra Resurrection e si è fatto una reputazione di imbattibile e leale combattente. Il film apre proprio sul quadro di un combattimento del videogioco, dove la squadra formata da soldati specializzati, hacker, cecchini, tattici in eccezionali sembianze/avatar dà prova di valore e spirito di corpo. Naturalmente è tutta finzione e Know Yoo evita accuratamente di partecipare agli occasionali incontri reali dei giocatori, cosciente di quanto lontana sia la sua realtà dall’immagine di Capitano che gli altri hanno di lui. Una sera trova un cellulare dimenticato: gli viene chiesto di portarlo ad un indirizzo per poi prendersi la mancia per il favore. Facile come bere un bicchier d’acqua, ma il giorno dopo al risveglio la sua vita cambierà per sempre. Arrestato per violenza sessuale e omicidio di una minorenne all’indirizzo del cellulare, ben poco riesce a fare il suo legale Min (Oh Jeong-se) perché il suo DNA è ovunque sulla scena del delitto, lui non ricorda nulla e non c’è una prova a suo discapito. Min lo convince a dichiararsi colpevole e in un furore di accuse e pubblico scorno viene rinchiuso in un carcere di sicurezza (un incredibile set tra le montagne) dove dovrà ingegnarsi per difendersi dai continui attacchi dei compagni di carcere, veri e propri criminali capitanati dal rozzo Ma (Kim Sang-ho). Dopo un periodo durissimo, gli si presenterà l’occasione di fuggire e, ossessionato dal provare la sua innocenza, si rivolgerà agli unici disposti ad aiutarlo, proprio i suoi compagni di squadra del videogame. Kwon Yoo avrà una curiosa sorpresa nello scoprire le reali identità dei suoi compagni di gioco, messi insieme da una 'quasi-otaku', esperta di hacking e tecnologia (Shim Eun-kyung di Miss Granny). Insieme cercheranno di scoprire chi e perché ha incastrato Kwon Yoo.
Con il suo appassionato omaggio al mondo dei videogame e il gran sfoggio di tecnologia accattivante e di ultima generazione, questo film è pensato con una ben precisa audience di giovani adulti in mente, un po’ sul genere The Hunger Games o The Maze. La storia improbabile e l’altisonante intreccio complottista lo posizionano quasi al limite della fantascienza, ma il film è un po’ più smaliziato e violento dei suoi simili e intelligentemente espande di molto il suo target di riferimento a tutti gli amanti dell’action da godersi senza porsi troppe domande. L'intreccio narrativo ha qualche movenza molto prevedibile, nessuno si stupirà al riapparire dei compagni di squadra di Kwon Yoo in suo aiuto, ma la teoria cospiratoria è interessante e sorprendente e contrappuntata da classiche scene di azione, lotte e inseguimenti, veloci, molto ben eseguiti e di grande intrattenimento.
C’è qualche risata instillata nel pubblico e qualche parte molto cupa, come tutta la lunga sezione del carcere che vede Kwon Yoo abusato e picchiato regolarmente, eseguita con un realismo inquietante. Non manca anche uno spunto di critica sociale nel (solito) sistema coreano di giustizia corrotto e il divario economico/sociale tra 'buoni e cattivi'. Inoltre è interessante notare come il film eviti la solita sottotrama romantica e che l’unico personaggio femminile rimanga 'uno della squadra' e ricopra un ruolo importante che spesso è riservato solo al sesso maschile. Un piacevole cambio di tono dalla norma.

Fabricated City è un film d’intrattenimento e azione e nel suo genere si distingue per un pizzico di originalità in più che è particolarmente benvenuta in un panorama di massificazione degli action-movie, spesso veicoli di pop star e stereotipi e il più delle volte con intrecci che vengono dimenticati prima ancora di finire i popcorn.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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