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A Copy of My Mind - Recensione (Venezia 72 - Orizzonti)

Sfruttando un doppio binario narrativo, A Copy of My Mind di Joko Anwar cerca di mostrare il contrasto tra la gente comune e il potere corrotto che regna nell'Indonesia dei giorni nostri: svariate incongruenze narrative impediscono però all'opera di raggiungere un buon livello di qualità

Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra Cinematografica di Venezia 72A Copy of My Mind è l’ultimo lavoro del cineasta indonesiano Joko Anwar, autore di quel The Forbidden Door che buon successo di critica ricevette nel 2009.
Il film si sviluppa su due livelli precisi e ben caratterizzati: nella prima parte osserviamo Sari, una giovane che lavora come estetista e che coltiva la passione per i DVD pirata che acquista regolarmente, quasi compulsivamente, per poi lagnarsi della scarsa qualità dei sottotitoli. Nel grande negozio in cui fanno bella mostra copie legali e copie pirata una accanto all’altra la ragazza conosce Alek che si guadagna da vivere traducendo i sottotitoli appunto. Tra i due nasce presto l’amore e li osserviamo muoversi nella caotica Giacarta, disegnata nello stile con cui Brillante Mendoza descrive Manila.
L’altro livello narrativo che subentra nella seconda parte è quello ad impronta politico-sociale netta, nel quale si intravede una buona dose di denuncia e che prende avvio dal momento in cui Sari viene inviata dal suo datore di lavoro a svolgere un trattamento estetico ad una donna in galera, una faccendiera che coagula intorno a sé gli interessi di politici e funzionari corrotti e che vive la sua prigionia circondata da tutti gli agii possibili. Sempre seguendo la suo compulsività, Sari ruba alla donna un DVD che però contiene le prove della corruzione dei candidati alle prossime elezioni che si svolgeranno nel Paese.
La deriva della storia sarà inevitabile: la merce scotta troppo nelle mani di Sari ed Alek e soprattutto il confronto tra due anime candide e i mastini del malaffare non potrà che avere conseguenze durissime.
Questa netta bipartizione di A Copy of My Mind fa sì che il film nella prima parte scorra come uno di quei banali racconti di vita vissuta in un Paese dalle mille contraddizioni sul quale aleggia sempre la voce ammonitrice del muezzin che ricorda che Allah è grande e Maometto è il suo profeta: vediamo Sari e Alek amarsi, accudire la vecchia zia del ragazzo, tappezzare la loro stanza con DVD attaccati sulla parete, guardare film porno anche a tematiche gay nei momenti di intimità passionale, effettuare le consegne dei DVD tradotti.
Nella seconda parte invece il tema della corruzione politica, delle contraddizioni sociali, della enorme distanza tra classe dirigente incapace e popolazione fa da tessuto connettivo per un racconto che intraprende una deriva drammatica, sebbene soffra di una serie di assurde incongruenze narrative. La morale è però chiara: per la gente comune non c’è possibilità di uscire sana e salva nel confronto con il malaffare che trova origine nella corruzione diffusa. Tutto ciò si tramuta a livello narrativo in una lettura non semplice: troppo distanti sembrano i due piani sui quali Anwar costruisce la sua storia, da un lato quello quasi etnologico, dall’altro quello di denuncia, che, come afferma il regista stesso, è il vero messaggio contenuto nel film.
Di certo A Copy of My Mind ha buoni momenti soprattutto nella sua accurata descrizione della vita quotidiana nella metropoli indonesiana, specialmente quando va a rappresentare alcune contraddizioni quasi comiche (il negozio che vende sia i DVD pirata che quelli legali) e quando richiama costantemente allo spirito islamico che governa il più grande paese musulmano del mondo. Nella parte discendente del racconto, accanto al montare del tono drammatico, la denuncia è chiarissima e anche coraggiosa, ma Anwar perde  troppo di vista la coerenza della storia, motivo per cui non possono sfuggire alcune madornali pecche.

Joko Anwar si dimostra regista coraggioso e capace di muovere la telecamera con efficacia, peccato solo che la struttura scelta per costruire la sua opera si presti troppo a pericolosi inciampi lungo il percorso. Bravi i due giovani attori protagonisti: la venticinquenne Tara Basro affianca ad una fresca bellezza una buona capacità di interpretazione, Chicco Jericho invece si candida prepotentemente al ruolo di Johnny Depp giavense, archetipo di bello e maledetto come il ruolo impone.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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