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Destiny - Recensione

Destiny - 2015 - Film - RecensioneConvincente prova del regista cinese Zhang Wei, Destiny è lavoro che senza patine edulcorate racconta la battaglia improba di una madre in difesa del figlio affetto di autismo, mettendo in luce una certa mancanza di coscienza del problema da parte della società cinese

Film con tematiche legate all’autismo sono divenuti sempre più numerosi in maniera proporzionale alla crescita nel mondo delle persone affette da tale malattia: essendo patologia che si manifesta per lo più in eta infantile o giovanissima, molto spesso il cinema ha rivolto lo sguardo al caso umano toccante legato allo stato dei piccoli protagonisti, altrettanto spesso ciò ha portato a lavori che indugiavano molto sull’aspetto più strettamente intimo della malattia, scadendo sovente nel drammone sentimentale a tinte furbastre.
Destiny del regista cinese Zhang Wei, curiosamente e repentinamente riciclatosi da imprenditore ad uomo di cinema, possiede una peculiarità non facile da trovare nei numerosi altri lavori sul tema: lo sguardo è infatti privo di facili derive sentimentali, anzi si mantiene sempre su una certa durezza, basta saperla leggere; questa caratteristica ha fatto sì che la pellicola si imponesse come una delle più belle ed interessanti di tutto il Far East Film Festival 18.
Siamo a Shenzhen, città simbolo del nuovo corso economico della Cina continentale da dove partirono negli Anni '90 i primi meccanismi di economia libera. La sua posizione geografica ne ha fatto una sorta di roccaforte mainlander di Hong Kong che dista pochissimo. La città è una di quelle che per prima ha visto nascere quel ceto medio che è un po’ la caratteristica dei paesi ad economia capitalistica e i genitori di Xi He appartengono a questa categoria: impiegata di banca lei, tecnico specializzato in impianti di climatizzazione lui, hanno impostato la loro vita sulle esigenze del piccolo figlio affetto da una forma di autismo neppur troppo malvagia. Il ragazzino frequenta una scuola pubblica con discreto profitto, ma come tutti i bambini autistici ha il suo mondo catalogato e rigido dove ogni minimo cambiamento produce agitazione. Quando il ragazzino, sebbene amato da compagni e da insegnanti, dà segni di una certa aggressività in risposta a stimoli nocivi, i genitori della scuola entrano in rivolta affinché venga allontanato dalla scuola. Gli insegnanti dapprima resistono, quindi consigliano a Tian Lin, la madre, di dirottare il ragazzino su una scuola speciale ed infine, obtorto collo, sono costretti a rifiutare Xi He nella scuola pubblica. Per la madre soprattutto inizia un calvario che intende affermare il diritto del bambino a frequentare la scuola e a non essere emarginato in un istituto speciale, dapprima cercando con i modi gentili di far aderire alla sua causa i genitori e quindi con rabbia nel momento in cui i suoi tentativi risultano vani. Nell’unico eccesso di enfasi del film, saranno i media, come sempre, a portare alla ribalta il suo caso.
Destiny, come detto, ha il pregio di esser film tutt’altro che melenso, anzi in molti passaggi mostra durezza e cattiveria, soprattutto quando va a mettere a nudo l’egoismo e la mancanza di solidarietà di una società troppo impegnata nella ricerca del benessere, ammettendo, di fatto, una scarsa preparazione sociale alla problematica dei malati di autismo, aspetto questo che viene ulteriormente sottolineato, quasi un peccato storico della società cinese, nel momento in cui scopriamo che Tian Lin si è lasciata dietro una storia di disperazione in quanto sorella di un autistico che nel villaggio di origine viene addirittura tenuto in gabbia. Questo passaggio oltre ad offrire uno dei momenti più duri, emozionanti e belli del film, sembra anche dare credito alla controversia teoria della ereditarietà della malattia, oltre a creare un valido background della figura della mamma, in fuga dalla famiglia dove la sua funzione doveva essere solo quella di occuparsi del fratello e che si ritrova, seppure senza sbarre e catene, a veder il figlio discriminato.

Quella di Tian Lin e del marito è insomma una lotta di liberazione per se stessi anzitutto, e qui sta il valore del film: il vero fulcro narrativo non è la situazione del ragazzino, bensì quella disperata e difficile dei due genitori, impegnati in una battaglia titanica. Chiaro che l’aspetto di denuncia sociale si affaccia frequentemente lungo il racconto, ma senza un atteggiamento polemico, semmai tendente a stimolare una presa di coscienza che forse nella moderna società cinese ancora manca riguardo al problema dell’autismo e dei suoi pazienti.
Il ragazzino Feng Jun è delizioso nel suo ruolo, sapientemente mai enfatizzato troppo e assolutamente credibile, Liang Jingke è brava nelle vesti della giovane madre già pesantemente provata, che gioca tutta se stessa nella difficile e improba battaglia.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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