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Truth - Il prezzo della verità - Recensione

Truth - 2015 - Film - RecensioneMaldestro tentativo di riesumare il film d'inchiesta, Truth di James Vanderbilt è pellicola che presenta molte ombre e pochissimi lampi di luce in un tripudio di retorica stantia

Nel 2004, con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali in USA che avrebbero decretato la rielezione di G.W. Bush, come tradizione, orde di reporter, dai famosi anchorman dei network nazionali ai 'poveracci' in cerca di gloria, si misero a frugare negli armadi dei candidati per tirare fuori se non uno scheletro qualche piccolo osso che potesse aprire la strada della gloria giornalistica.
Da quello molto chiacchierato della famiglia Bush spuntò il forte sospetto che il Presidente in carica e candidato al secondo mandato fosse stato raccomandato per non finire in guerra in Vietnam rimanendo arruolato nella ben più rassicurante Guardia Nazionale del Texas: il caso venne portato alle cronache dalla CBS attraverso la produttrice Mary Mapes e il famoso anchorman Dan Rather.
Ispirandosi al libro scritto dalla Mapes, lo sceneggiatore James Vanderbilt fa il suo esordio alla regia tentando di riesumare quello che una volta era il film d’inchiesta di cui la filmografia americana conserva notevoli esempi nel passato. L’affaire viene affrontato con un approccio molto classico e convenzionale che mostra però ben più difetti che pregi. Anzitutto gli stereotipi consolidati e anche un po’ stantii dell’ambiente giornalistico in cui pullulano squali e idealisti disposti a tutto pur di costruire la notizia da premio Pulitzer, poi Truth soffre di una seria di incongruità clamorose che ne minano l’aspetto narrativo: possibile che professionisti del genere non sapessero cosa potesse voler dire andare a contare le pulci addosso all’abito del Presidente degli USA, l’uomo più potente del pianeta, a maggior ragione quando dietro di lui si muovono interessi colossali? Può essere sufficiente pensare che siccome si vive nel Paese più libero al mondo bastano un paio di veline rimediate in maniera sommaria per poter mettere sulla graticola un personaggio di tale spessore? Possibile che nessuno si prenda la briga di indagare sulla credibilità delle fonti, non una ma cento volte in situazioni del genere? Possibile che chi fa un lavoro del genere e smuove tali interessi si meravigli poi del bailamme mediatico fatto di immondizia ed ingiurie che si scatena?
E poi, se davvero le cose sono andate come il film lascia capire, come è possibile che un Network come la CBS sia ancora in auge e non chiuso da più di dieci anni? Vero che in America vige la sacralità del libero arbitrio e la individualizzazione delle responsabilità, ma quale altra azienda sarebbe uscita indenne da una bufera del genere? Può bastare essere certi che Bush fosse un imbroglione per scatenare un tal putiferio senza avere come minimo le spalle coperte? Ecco quindi che Truth è anzitutto un classico esempio di film in cui la realtà e l’oggettività vengono messe in secondo piano per accentuare gli aspetti più appetibili narrativi e commerciali: a prevalere sembra la stantia retorica che pullula in certo cinema americano dove le esigenze della storia piegano la logica e la realtà. Quello che stupisce in Truth è che alla fine tutti sono 'trombati', e anche pesantemente, ma tutti, al contempo, sono contenti: come può accadere ciò se non considerando che la mitizzazione dei personaggi deve superare anche la realtà in favore di una coerenza narrativa che non esiste?

Il film di Vanderbilt è deludente su tutta la linea, a cominciare dal genere che ormai ha perso il suo fascino eroico nell’epoca della globalizzazione dell’informazione grazie alla quale, nel bene e nel male, chiunque può svolgere ricerche ed indagini standosene seduto a casa davanti ad un computer, per poi proseguire sull’aspetto più strettamente narrativo con i troppi buchi della sceneggiatura, scritta dallo stesso regista. Se Cate Blanchett è brava come sempre, pur nel personaggio eccessivamente caricato, Robert Redford ispira più tenerezza che altro nel suo tentativo, si spera involontario, di citare il se stesso del periodo d’oro della sua carriera.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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