Rara - Una strana famiglia - Recensione
- Scritto da Adriana Rosati
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Il cinema sudamericano sta avendo un momento di ispirazione e di successo e forse grazie all’attenzione internazionale che attrae, certe piccole gemme come Rara - Una strana famiglia riescono ad attraversare l’oceano ed arrivare a noi.
Rara è il primo lungometraggio della cilena Pepa San Martin, scritto a quattro mani con l’affermata regista e sceneggiatrice Alicia Scherson, traendo spunto da una vicenda legale realmente accaduta in Cile per proporre una riflessione sui genitori dello stesso sesso e il loro rapporto con i figli.
In un Cile che assomiglia molto all’Italia Paula (Mariana Loyola) è separata da Victor (Daniel Muñoz) ed entrambi hanno una nuova vita e nuovi compagni. Le due figlie, Sara (Julia Lubbert) e la più piccola Cata (Emilia Ossandon), vivono con la mamma e subito, dalle prime scene, impariamo che Paula ora ha una compagna, Lia (Agustina Muñoz). Con uno stile poco intrusivo, quasi documentaristico, il film ci accompagna attraverso siparietti di quotidiana routine di questa famiglia che indubbiamente assomiglia a molte altre. Paula e Lia sono allegre, spigliate e orgogliose delle loro scelte ma coscienti che non tutti sono a proprio agio con le loro decisioni. La madre di Paula le adora ma forse vorrebbe che fossero più discrete e a scuola qualcuno ha commentato maliziosamente la famiglia inusuale di Sara e Cata.
Il fulcro della storia presto slitta su Sara, che sta per compiere 13 anni ed entrare nei famigerati 'teen'. Le sue giornate passano tra allenamenti di pallavolo, le chiacchiere con l’amica del cuore, i litigi con la sorella, l’organizzare la festa di compleanno, il ragazzo che le piace. Sara ha sulle spalle tutti i dubbi e le insicurezze dell’adolescenza ma niente di più, le piccole discussioni e i conflitti con la madre sono uguali a quelli che quasi tutti hanno vissuto, ma il padre, che Sara ogni tanto chiama in causa più come rifugio temporaneo che altro, li vede come un appiglio su cui farà leva per intentare la causa per l’affidamento delle figlie.
Da queste premesse non bisogna però aspettarsi litigi drammatici, figli strapazzati e palleggiati da genitori egoisti e tutta l’iconografia classica dei film che trattano il tema dell’affidamento. Rara trae la sua forza ed efficacia dalla naturalezza con cui mostra gli eventi di tutti i giorni, episodi quasi irrilevanti che, in realtà, poco o niente hanno a che fare con l’orientamento sessuale di Paula ma che lentamente ed inesorabilmente prendono la forma minacciosa di elementi a sfavore. La sensazione inquietante di una situazione che sfugge di mano sempre di più è magistralmente instillata da questa lucida osservazione di meccanismi e dinamiche famigliari in cui sarà molto facile ritrovarsi. Questa naturalezza è aiutata dalle ottime interpretazioni degli attori, in primis le due bambine lasciano veramente a bocca aperta. La spontaneità con cui interagiscono, litigano e chiacchierano fa dubitare spesso che questa sia fiction. Pochi anni di differenza ma una grande distanza: Cata ancora bambina che proietta le sue paure di abbandono su un gattino trovatello e Sara alle soglie dell’età adulta che alterna maldestra senno e incoscienza.
Rara è etichettato LGBT e indubbiamente l’intento dichiarato della regista è di portare l’attenzione sul pregiudizio che in molti Paesi ancora aleggia intorno ai genitori dello stesso sesso, ma è anche la storia molto umana di un’adolescente che vede la sua vita sempre più invasa ingiustamente da problemi e preconcetti che non fanno parte del suo universo. Una storia narrata in modo a volte comico, a volte toccante, mai melenso e sempre compassionevole.
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Adriana Rosati
Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.