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Lo chiamavano Jeeg Robot - Recensione

Lo chiamavano Jeep Robot - Film - 2015 - RecensioneIl primo vero film supereroistico in salsa italiana nasce con Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti: lavoro che si dibatte tra i generi e che, pur avendo qualche spunto interessante soprattutto nella regia, non convince

Evviva, evviva! Anche il cinema italiano ha il suo supereroe popolare, come gli americani hanno Batman e Spiderman, i musi gialli giapponesi hanno tutti gli eroi di cartone e di acciaio dei manga, i musi gialli cinesi hanno i loro spadaccini volanti, i personaggi mitologici mezzi uomini e mezzi scimmia, noi italiani abbiamo il nostro, alias Enzo Ceccotti.
Le grida di giubilo di un pubblico folgorato dall’evento, riempiono in questi giorni tutti gli spazi dell’Auditorium Parco della Musica, sede della Festa del Cinema di Roma 2015, che quando Renzo Piano ideò e portò a termine fra mille peripezie non immaginava certo che potesse essere la culla del supereroe italico.
Il tripudio che accompagna Lo chiamavano Jeeg Robot, si basa però su presupposti molto poco convincenti. Anzitutto non si vede dove sia l’originalità del progetto, considerato che altrove film su supereroi mutuati dai fumetti e non si producono da decenni. Poi la storia che sostiene la pellicola soffre per tutta la durata del film di una grave imperfezione: Lo chiamavano Jeeg Robot è infatti una entità che si alimenta di un miscuglio di generi e sottogeneri incapaci di dare una impronta netta ed originale al film.
La storia vede appunto il nostro eroe Ceccotti, delinquente da quattro soldi, sociopatico, coatto di periferia romana ben stereotipato che mangia solo yogurt e si nutre di film porno, acquisire poteri invincibili dopo un ben poco igienico bagno nel biondo Tevere. Ben presto l’uomo si accorge dei suoi poteri e l’intervento della prima freak del film, Alessia, una ragazza disturbata che vede il mondo tutto in funzione di Jeeg Robot e dei personaggi del cartoon, figlia di un suo amico (anche se Ceccotti ci tiene a ripeterlo mille volte che lui non ha amici) col quale svolge qualche lavoretto. Poi arriva il cattivo, il villain più villain di turno, lo Zingaro, un capo banda che sembra uscito da Rocky Horror Picture Show col quale Ceccotti si troverà ad incrociarsi tra rapine ed efferatezze varie. Il delinquente comincia a diventare buono fino alla filantropia perché Alessia così lo vuole e lo vede, il cattivo sempre più cattivo e lo scontro sarà inevitabile.
Mescolando spesso alla rinfusa commedia all’amatriciana (cioè con battutacce romanesche che sentiamo ormai dai tempi der Monnezza-Tomas Milian), noir anch'esso all’amatriciana su una delinquenza tutta romana fatta di slogan e coatti a briglia sciolta, qualche sprazzo di demenzialità, richiami ad archetipi lontani (i supereroi americani), film di denuncia su una città ormai alla deriva in preda alla paura per attentati continui (lo Zingaro però non è così furbo ed intelligente come Joker…) e morali alquanto stantie sul ruolo degli eroi nella nostra epoca, Lo chiamavano Jeeg Robot disperde abbastanza velocemente la carica positiva che avrebbe potuto avere se Gabriele Mainetti, qui all’esordio nel lungometraggio, avesse dato uno stampo, e quindi una personalità e credibilità più netta alla storia.
Insomma ondeggiare tra il Batman di Nolan e la commedia alla Vanzina non porta a nulla, nonostante Mainetti dimostri buone doti di regia, costruisca le scene bene, si avvalga di buone prove recitative (su tutte quella di Luca Marinelli) e abbia qualche intuizione cui però non ha saputo dare seguito. Affidarsi alla comicità che si basa su certe battute tipiche del gergo romanesco-coattesco, che non si capisce come facciano a far ridere ancora, significa disperdere quanto di buono si sarebbe potuto fare inseguendo ad esempio il genere della parodia, anche demenziale, che meglio riflette la tradizione del cinema italiano.
Vedere Ceccotti sul Colosseo come Batman sull’Empire State Building senza condirlo con una bella dose di parodia e di umorismo è operazione inutile, a meno che non si voglia fare un film alla Nolan, e allora non ci siamo proprio.

In previsione di un sequel certo ed annunciato che darà vita ad una saga - c’è da giurarci -, consigliamo al bravo Mainetti qualche lezione privata da Takashi Miike.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

2 commenti

  • scagnetti
    scagnetti Giovedì, 18 Febbraio 2016 13:07 Link al commento Rapporto

    Zebraman docet!!
    C'e' solo da imparare da Takashi!!
    Mainetti se vuoi ho tutti (ma proprio tutti,circa 90 )i film del sopracitato,cosi il prossimo ti viene ancora meglio...
    Carino cmq.

  • joditu
    joditu Venerdì, 23 Ottobre 2015 21:28 Link al commento Rapporto

    non hai capito nulla del film , chi ti paga per scrivere queste recensioni ? il film è bellissimo e vincerà alla faccia tua !

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