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Il signor diavolo - Recensione

Il ritorno all'horror padano giova a Pupi Avati: Il signor diavolo è lavoro ben riuscito grazie alle cupe atmosfere e all'analisi del potere del Male, della superstizione e della religione bigotta degli Anni '50 nel cattolicissimo Veneto

Nei primi anni cinquanta l’Italia, faticosamente impegnata ad uscire dall’esperienza bellica devastante, era governata dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi che al timore di una nuova guerra aggiungeva quello per il comunismo che dilagava nella metà orientale dell’Europa. Il grande polmone elettorale della Balena Bianca era il Veneto, regione a fortissima impronta cattolica anche piuttosto bigotta.
Questo contorno storico fa da preambolo, oltre che da sfondo storico-sociale, al nuovo film di Pupi Avati, Il signor diavolo, che segna, dopo svariati passaggi a vuoto sia cinematografici che televisivi, il ritorno del regista bolognese a quel cinema più piccolo ed intimo, quell’horror-thriller che fu il suo marchio artistico nei primi anni della carriera, al punto che fu coniato addirittura una sorta di sottogenere, l’horror padano appunto, che fa riferimento soprattutto ai connotati geografici, vero caposaldo del cinema di Pupi Avati.
La premessa storica serve ad introdurre il cuore pulsante  del film, cioè un racconto di cupa superstizione che sconfina nel religioso e nell’oscurantismo: il giovane ispettore del Ministero di Giustizia Furio Momentè viene inviato in Veneto per assicurarsi che una indagine sulla morte di un ragazzino per mano di un coetaneo - che rischia di coinvolgere alcuni religiosi che avrebbero convinto l’omicida che il defunto fosse il diavolo in persona - non porti scompiglio nella comunità cattolica e di conseguenza nella placida e cupa riserva elettorale in vista delle elezioni. I motivi dell’incarico sono chiaramente esposti dal superiore al giovane ispettore che, lasciando Roma per Venezia, sul treno si documenta sugli interrogatori avvenuti sin a quel momento, mediante i quali apprendiamo dalla viva voce del giovane Carlo, sotto forma di interrogatorio, come siano andate le cose. Carlo avrebbe ucciso Emilio perché spinto dal sagrestano e da un ambiente bigotto e oscurantista a credere che il ragazzino, deforme e dall’aspetto quasi ripugnante, fosse il diavolo, agendo in tal modo per vendicarsi anche della morte del suo amico Paolino causata da Emilio. Il problema diventa particolarmente delicato nel momento in cui la madre di Emilio, una nobildonna veneziana aspra e dura, da fervente attivista cattolica diventa la più acerrima nemica della comunità incolpandola di avere causato la morte del figlio con la forza delle superstizioni e della malvagità.
Per Momentè portare avanti l’indagine con discrezione, come gli è stato richiesto dal Ministero, diventa impresa impossibile e il suo coinvolgimento negli eventi che seguiranno lo porteranno a sfiorare la verità che si nasconde dietro al fatto di sangue, intorno al quale ruotano oscure e morbose verità inconfessabili, dicerie, superstizioni e cattiverie, sepolte sotto una coltre di omertà provinciale e anche un po’ bigotta.
Il signor diavolo ha come pregio principale, prima di ogni valutazione narrativa, quello di un'ambientazione bellissima, cupa, adagiata lungo la laguna livida e calma che è quella di Comacchio per larga parte, ma traslata narrativamente un po’ più a nord a Venezia; un'ambientazione che diventa parte costitutiva del film stesso perché contribuisce ad acuire quel lento crescere di disagio che la storia e l’ambiente che la circonda fanno lievitare.
La premessa del racconto dà al lavoro di Pupi Avati un forte significato politico che delinea al contempo una realtà sociale che negli Anni '50 (siamo nel 1952) era piuttosto diffusa, ma considerare Il signor diavolo un film con principalmente una impronta politica decisa è fortemente fuorviante, soprattutto perché la pellicola è anzitutto il racconto di come il Male possa assumere le forme più impensabili, ben lontane dalla iconografia religiosa che travalica nella superstizione e nell’occulto. Il Male che Avati racconta è un qualcosa di fluido che si insinua lentamente, che conduce lungo sentieri fallaci che confondono per poi colpire in maniera repentina quando tutto sembra tacere. Il Male è l’emarginazione e la condanna del diverso, di colui che sgretola le certezze, di chi porta la malattia nella mente e nel corpo e che sembra trascinare con sé un peccato originale di cui non ha colpa alcuna.
Nonostante qualche difetto narrativo (impossibile dire quale, sarebbe spoiler puro…) soprattutto nel finale del film, Il signor diavolo è un buon lavoro di genere che riporta inevitabilmente alla mente quello che è considerato l’emblema del cinema horror di Pupi Avati, La casa dalle finestre che ridono, che vive anch’essa delle medesima atmosfere, delle stesse chiese, delle stesse tranquille e raccolte comunità della Bassa Padana.

Il risultato è un film cupo, in certi tratti addirittura pessimista, che fotografa ed analizza come l’irrazionale, le paure, la malvagità e la costante ricerca dell’uomo di potere di toccare con mano il potere satanico diventino gli strumenti con cui l’oscurantismo e il potere della religione si impadroniscano dell’essere umano.
Grande merito della riuscita del film va ascritto alla sapiente fotografia di Cesare Bastelli, soprattutto per la capacità di assecondare l’atmosfera tenebrosa del racconto con un uso molto attento della luce, che va ad interagire in maniera armonica con la regia di Pupi Avati, improntata al minimalismo intimo pieno di zone d’ombra.
Il cast è popolato di interpreti che già tanto hanno dato al cinema del regista bolognese: da Lino Capolicchio a Gianni Cavina, da Alessandro Haber a Massimo Bonetti e da giovani e giovanissimi come Gabriel Lo Giudice e Filippo Franchini, sebbene la palma della migliore interpretazione spetta senza dubbio ad una bravissima, dura e aspra, come prevede il ruolo, Chiara Caselli, nobildonna veneziana madre del ragazzino ammazzato che è un po’ il perno intorno al quale ruota la parte più torbida e angosciante della storia.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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1 commento

  • Evaristo
    Evaristo Mercoledì, 04 Settembre 2019 15:37 Link al commento Rapporto

    Un film vero che rispecchia un periodo vero di quegli anni

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