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Il labirinto del silenzio - Recensione

Il labirinto del silenzio - Film - RecensioneRacconto che va ad analizzare la responsabilità personale del popolo tedesco nel periodo nazista, Il labirinto del silenzio dell'italo-tedesco Giulio Ricciarelli è lavoro che si fonda soprattutto su questa ricerca nei meandri della coscienza di un Paese

Germania, tardi Anni '50, il Paese ha voltato pagina ormai da dieci anni ed è avviato ad una crescita impetuosa che lo porterà in breve tempo nell’élite dei paesi più ricchi ed influenti.
La guerra è alle spalle e, seguendo un ordine imposto coi fatti dall’alto, un colpo di spugna ha cancellato gli anni del nazismo, una sorta di frettoloso insabbiamento collettivo che ha spazzato via dalla memoria le responsabilità non solo politiche del Paese ma anche quelle individuali. Il Processo di Norimberga ha fatto da poco cadere la scure sui gerarchi e la giustizia del vincitore americano ha fatto il suo corso. Il giovane procuratore Radmann, stanco delle consuete cause per motivi futili, nelle quali comunque mostra il suo rigore legalitario, decide di occuparsi di una denuncia nella quale si segnala la presenza di un ex militare delle SS che prestò servizio ad Auschwitz, oggi nelle vesti di insegnante. Laddove tutti i colleghi della procura, compreso il procuratore capo, liquidano la denuncia come un tentativo di destabilizzazione della ritrovata armonia teutonica, Radmann decide di voler approfondire e con ciò di scoperchiare un pericoloso pentolone nel quale giace la verità sui campi di sterminio, alla maggior parte dei tedeschi ignota. L’unico ad appoggiarlo è il procuratore generale, ebreo e un giornalista di tendenze anarcoidi che frequenta circoli progressisti. La battaglia sarà lunga e difficile, ma finalmente anche la Germania potrà giudicare davanti ad un tribunale i crimini di guerra.
Ispirato almeno in parte a personaggi realmente esistiti, il film dell’italiano Giulio Ricciarelli, tedesco d’adozione, racconta come si giunse al primo processo che la Germania istituì sullo sterminio dei Auschwitz, una tappa necessaria per un Paese sul quale era passato il colpo di spugna del Processo di Norimberga e le chiare direttive dei nuovi dirigenti politici (Konrad Adenauer in primis) di considerare una gigantesca amnistia silenziosa che permettesse ai numerosi iscritti al partito nazista di poter rientrare nei ranghi statali.
Vale la pena essere chiari sin da subito: Il labirinto del silenzio non è film sulla Shoah, né tanto meno una rilettura delle criminali finalità dei campi di sterminio: è semplicemente una profonda analisi interiore di un Paese che aveva chiuso gli occhi, forse per non guardare l’orrore, e soprattutto un esame di coscienza che mira a distinguere quello che fu il libero arbitrio personale e le responsabilità soggettive durante gli anni del nazismo.
Sebbene il film indugi molto sulla presenza a tutti i livelli di reduci del partito nazista nei ruoli pubblici negli Anni '50, non appare la denuncia il tema trainante della storia che trova una durissima analisi spietata spesso nelle parole del giovane Radmann, emblema di una generazione, la prima forse, che di quegli anni non porta alcuna responsabilità, ma che comunque deve dolorosamente farci i conti e confrontarsi.
L’indagine infinita che il procuratore mette in piedi con grande tenacia è anche una indagine intima, sul passato della sua famiglia e del padre in particolare, improntata al concetto idealista e integralista che nessuno deve sentirsi libero da colpe, né tanto meno appigliarsi a giustificazioni: per il giovane Radmann essere stati nazisti è comunque una colpa personale, poco importa che tutti lo fossero, con le buone o con le cattive.
Da questo punto di vista il film di Ricciarelli ha sicuramente grande valore, anche perché va ad indagare un argomento effettivamente poco rappresentato nel cinema, anche se altre scelte narrative, nell’ambito di un racconto tutto sommato molto convenzionale, non risultano particolarmente azzeccate (la storia d’amore del protagonista con Marlene ad esempio); di certo però Il labirinto del silenzio è opera interessante proprio perché racconta questo dibattersi di un Paese intero tra un passato che si vorrebbe cancellare ed un presente che impone di prendere coscienza del passato stesso.
Su un aspetto il film avrebbe potuto regalare di più, quello dell’interpretazione del ruolo del protagonista da parte di Alexander Fehling, privo di carisma in un ruolo che avrebbe richiesto maggior forza e capacità espressiva.

Il Il labirinto del silenzio è nel complesso lavoro di un certo spessore, originale nelle sue tematiche, convenzionale nella narrazione, che cerca, dopo tanti anni, di raccontare come un Paese ebbe il coraggio di guardarsi dentro e cacciare i demoni del passato.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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