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David Lynch: The Art Life - Recensione (Venezia 73 - Venezia Classici)

David Lynch: The Art Life - Film - Documentario - 2016 - RecensioneDavid Lynch spalanca le porte del suo studio sulle colline di Hollywood per aprirci lo scrigno dei ricordi: dall’infanzia nella provincia americana fino ai primi approcci con la macchina da presa, ecco il ritratto intimo del Lynch artista più che del Lynch cineasta, prima della sua consacrazione, prima dei suoi capolavori

Diciamolo subito, a scanso di equivoci: se siete dei fan di David Lynch e siete finiti su queste pagine con la curiosità di sapere se David Lynch: The Art Life è il documentario definitivo sul cinema del vostro beniamino che tanto aspettate e vorreste vedere, ebbene no, l’appuntamento è rimandato. Non che il film non meriti una visione o non abbia spunti d’interesse, tutt’altro, ma è meglio precisare che il lavoro firmato dal trio Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm e Rick Barnes è un ritratto intimo del Lynch artista più che del Lynch cineasta - anche se le due cose sono strettamente collegate.
Presentato nell’ambito della sezione Venezia Classici della 73esima Mostra del Cinema, David Lynch: The Art Life è un documentario che nasce da lontano, nel 2004, e che rappresenta una prosecuzione del lavoro svolto per Lynch (realizzato nel 2007 e proiettato nel circuito dei festival), altro documentario che vedeva coinvolto uno degli autori del trio di cui sopra, Jon Nguyen, nelle vesti di produttore, girato durante le riprese di INLAND EMPIRE – L’impero della mente, primo tentativo di entrare in contatto con l’universo creativo del regista americano. La lavorazione si è protratta per più di 10 anni a causa di una certa ritrosia da parte di Lynch ad aprirsi davanti la macchina da presa, al punto che gli autori hanno dovuto ricorrere a una raccolta fondi su Kickstarter per finanziarsi in attesa che il regista rompesse gli indugi, cosa che poi è avvenuta nel 2012, dopo la nascita della sua seconda figlia (alla quale è dedicato il film).
David Lynch: The Art Life si svolge quasi interamente all’interno dello studio di Lynch situato sulle colline sopra Hollywood: il regista, seduto su una sedia, avvolto dal fumo di un’inseparabile sigaretta accesa tra le dita, ci apre lo scrigno dei suoi ricordi ripercorrendo, come in un diario privato, tutte le fasi della sua vita che lo hanno portato a diventare prima un artista e poi un regista. Il racconto di Lynch si sofferma dettagliatamente su luoghi, affetti ed esperienze che gli hanno lasciato un segno indelebile: la madre che lo accudisce assecondando già da bambino la sua passione per il disegno, l’infanzia spensierata nella tranquilla provincia americana, le cattive frequentazioni che caratterizzano i primi turbolenti anni del liceo, il rapporto affettuoso con il padre, l’incontro con l’artista Bushnell Keele che fa scoccare in lui la scintilla per la pittura, il trasferimento a Philadelphia dove incomincia a muovere i primi passi nel campo delle arti visive, l’ottenimento di una borsa di studio dell'American Film Institute che lo salva da una situazione di quasi indigenza, l’approdo a Los Angeles per frequentare una scuola di cinema, infine l’inizio dell’elaborazione di Eraserhead – La mente che cancella. Trattandosi di Lynch, il racconto non si limita a una semplice esposizione di fatti, persone e circostanze, ma è arricchito da suggestioni del proprio vissuto, spesso di carattere perturbante, che il regista affida al pubblico trasmettendo una velata sensazione di inquietudine come le migliori scene oniriche dei suoi film.  
Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm e Rick Barnes assecondano il flusso di parole della voce narrante con immagini che alternano il presente in cui vediamo Lynch muoversi mentre crea opere pittoriche nel suo laboratorio e il passato che riecheggia attraverso fotografie e filmati privati. Una dicotomia temporale abbastanza costante che viene interrotta di tanto in tanto da pause in cui l’occhio degli autori porge allo spettatore istantanee delle creazioni del regista (dipinti, disegni e qualche breve frammento dei primi esperimenti con la pellicola) in un percorso di rappresentazione volto a svelare le tracce di una corrispondenza tra il vissuto ripercorso da Lynch e le sue opere. Del resto è lo stesso regista ad affermare che “un dipinto, così come un film, si porta sempre con sé tante idee, ma è quasi sempre il nostro passato che le reinventa e le trasforma. Anche se si tratta di nuove idee, il nostro passato le influenza inevitabilmente”.

David Lynch: The Art Life approfondisce quindi in maniera lineare e intelligente le scaturigini del mondo visionario di David Lynch fornendo al pubblico una visione propedeutica della sua arte, ma nel complesso delude un po’ le aspettative quando arrivano i titoli di coda e scopriamo che il viaggio a ritroso si ferma sul più bello escludendo una parte importante della sua carriera, ovvero il cinema e i film (la lavorazione di Eraserhead è appena accennata), o meglio quella che interessa di più di un artista che sarà ricordato soprattutto come uno dei geni della settima arte.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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