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Beasts of No Nation - Recensione (Venezia 72 - In concorso)

Dalla tv al cinema: Cary Fukunaga cambia format. Dopo il successo di True Detective, il regista sceglie di portare sul grande schermo i bambini soldato dell'Africa, continuando a indagare le zone d'ombra dell'animo umano

Non nascondiamo che avevamo la bava alla bocca all'idea di vedere Beasts of No Nation, film che segna il ritorno al lungometraggio di Cary Fukunaga, una sorta di prova del nove per il regista dopo l'incredibile (e meritato) successo della prima stagione di True Detective. Poche volte ci era capitato di vedere un serial come quello della HBO degno della migliore tradizione cinematografica del poliziesco americano, merito della coppia di attori, della penna di Nic Pizzolatto, certo, ma anche di una regia capace di sviscerare una visionarietà inusuale per il piccolo schermo nel contatto con la violenza lungo il percorso di morte che si sviluppa in otto episodi. L'attesa è stata ben ripagata: presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015Beasts of No Nation non ha deluso le aspettative.
Alla base del film l’acclamatissimo romanzo dell’autore nigeriano Uzodinma Iweala. Protagonista è il piccolo Agu, un bambino africano che, dall'oggi al domani, si ritrova a passare dagli scherzi con gli amici in un villaggio rurale agli scontri a fuoco nel caos della sempre più feroce guerra civile che imperversa nel suo Paese (mai nominato durante il film). Privato del padre da un'esecuzione sommaria per mano delle forze governative che lo credevano una spia, costretto ad abbandonare la madre che ha deciso di fuggire con la sorellina in un luogo sicuro, Agu si rifugia nella giungla, dove inizia a vagare alla ricerca di cibo, fino a quando non si imbatte nel comandante di una brigata antigovernativa, che lo prende sotto la sua ala protettiva, trasformandolo in un soldato al suo servizio. Da quel momento la sua infanzia diventa una iniziazione alla vita che passa attraverso uccisioni, droghe, stupri e molestie. Un punto di non ritorno.
Prodotto dal colosso Netflix e quindi destinato a essere visto più sugli schermi dei computer che nei cinema, Beasts of No Nation racconta in poco più di due ore l'orrore della guerra con uno sguardo all'interno puntato ad altezza di un bambino soldato. È Argu il motore dell'azione, i suoi pensieri e i suoi occhi ci disvelano una realtà in cui l'umanità sembra al suo grado zero, al suo oblio. Pur essendo rivolto prevalentemente a un pubblico domestico, il film sorprende per come non ci risparmia nulla delle aberrazioni di chi ha il potere di decidere la vita o la morte alle persone, senza però fare dell'ostentazione della brutalità una scorciatoia per arrivare dritto al cuore dello spettatore. Fukunaga lavora sulle psicologie dei personaggi (non a caso la parte più riuscita del film è quella che ci mostra l'indottrinamento a cui prende parte Argu prima di poter imbracciare il fucile e iniziare a uccidere), dimostrandosi un fine osservatore: come in True Detective, il suo sguardo ci addentra nella manifestazioni della violenza, cercando di scandagliare gli angoli bui dell'animo umano, le sue tentazioni più pericolose, il marcio che alberga nei nostri cuori, con la consapevolezza e l'umiltà di chi vuole essere testimone più che giudice delle azioni.
Non tutto è oro quello che luccica: ogni tanto emerge un lirismo eccessivo nelle immagini (ci riferiamo all'uso delle musiche e della voce fuori campo del protagonista – troppo adulta e consapevole della vita per essere quella di un bambino – che in certi momenti enfatizzano troppo una storia già di per sé satura di sentimenti), ma sono peccati veniali di un regista ancora giovane.

Con True DetectiveFukunaga ha dato una svolta a una carriera che fino ad allora era alquanto anonima, con due film alle spalle decisamente convenzionali (soprattutto il secondo, Jane Eyre) e un'autorialità inespressa. Con Beasts of No Nation, il regista nippo-svedese-americano inizia a mostrare uno stile definito e una poetica più matura che prosegue il percorso già iniziato con la serie tv.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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