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Wrath of Silence - Recensione (Far East Film Festival 2018)

Al suo secondo lungometraggio, il talentuoso Xin Yukun imbastisce un thriller raggelante ed atmosferico dalla tensione crescente

Secondo film per il trentenne regista cinese Xin Yukun, dopo The Coffin in the Mountain, Wrath of Silence debutta come film di chiusura al China’s FIRST Film Festival nel luglio scorso, ha la sua premier internazionale al London Film Festival ad ottobre e infine approda al Far East Film Festival di Udine. L’opera ha avuto qualche problema di distribuzione nei cinema in patria, quando improvvisamente, per ragioni non specificate, è stato sospeso il lancio programmato per ottobre, periodo festivo che in Cina è considerato come una stagione d’oro per i film, penalizzandone quindi notevolmente il rientro economico.
Baomin (Song Yang) è un giovane minatore muto con un caratteraccio e un passato turbolento e litigioso: per questo motivo lavora lontano da casa, dove ha lasciato la moglie e il figlio Lei a badare alle pecore. Ma la notizia che Lei è inspiegabilmente sparito, lo riporta al suo villaggio della Mongolia, nel Nordest della Cina (Baotou, città natale del regista) e dà il via ad una ricerca disperata. I ricordi riaffiorano improvvisamente dal passato, quando scene di scioperi e proteste per i licenziamenti si ripropongono agli occhi di Baomin. L’inarrestabile marcia della società mineraria Hongchang era infatti cominciata anni prima, quando Baomin era ancora in città e proprio a causa di questi disordini e proteste era finito nei guai ed era stato costretto ad andarsene. Nulla è cambiato da allora, la Hongchang con a capo il ricco e potente imprenditore minerario Chang Wannian (Jiang Wu) sta rapacemente forzando tutte le piccole imprese alla chiusura con conseguente acquisizione. Un misto di dettagli e di istinto tormentano Baomin che si convince che Chang abbia qualcosa a che vedere con la scomparsa del bambino, ma quando entra in scena un terzo personaggio, l’avvocato Xu Wenjie (Yuan Wenkang), indagato per il suo lavoro al servizio di Chang, la ricerca del figlio si tramuterà in qualcosa di più grosso e che sfugge alla comprensione di Baomin. E nel frattempo un altro bambino ci va di mezzo, gli scagnozzi di Chang rapiscono infatti la figlia di Xu per tappargli la bocca e ricattarlo, ma quest’ultima piccola vittima ha un valore di mercato ben più alto del figlio di Baomin.
Un paesaggio vasto, desolato e polveroso da spaghetti western fa da sfondo a questo lavoro tinto di giallo/nero che, nonostante la trama complessa, si srotola agilmente rivelando una grande allegoria sociale. Xin Yukun delinea tre ben precise classi sociali rappresentate dai tre personaggi chiave. Baomin è la China rurale, violentata e muta, in contrasto con una classe media impersonata dall’avvocato Xu che per coincidenza fa un lavoro per cui la parola è fondamentale ma la cui parola è al servizio di Chang, il terzo simbolo, un minaccioso e potente burattinaio, frutto di una sempre più sbilanciata distribuzione della ricchezza.
Come imposto dalla censura cinese, i cattivi verranno puniti ma il regista riesce comunque a far passare per osmosi il suo messaggio fatalista di critica all’ingiustizia sociale.
Grandi professionisti, Song Yang che, privato di battute, dà un’eccellente prova d’attore e Jiang Wu (Il tocco del peccato) che interpreta lo stravagante e grottesco imprenditore con le sue stranezze e velate debolezze, non del tutto a suo agio nella sua immensa quanto improvvisa ricchezza.
Girato in una penetrante Alta Definizione che dona un effetto iperrealista ed inquietante, il film fa grande uso della classe e professionalità del direttore della fotografia He Shan e della colonna sonora di Sylvian Wand creando effetti da 'pelle d’oca' come in una delle ultime scene, surreale e potente.

Un thriller raggelante ed atmosferico dalla tensione crescente, ma anche un potente exposé della corruzione e dell’individualismo che fanno da tessuto connettivo della società attuale cinese, Wrath of Silence è la fotografia di una terra sventrata nel fisico e nella moralità da un’incurabile cupidigia.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Video

Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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