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The Empty Hands - Recensione (Far East Film Festival 2018)

Opera seconda di Chapman To, noto soprattutto come esilarante attore brillante, The Empty Hands è una pellicola che, con una buona dose di eleganza, fonde il film d'azione con il racconto di un duplice riscatto, sullo sfondo di una Hong Kong in perenne mutamento

Chapman To è da anni uno degli ospiti che riscuotono più gradimento al Far East Film Festival, dove raramente è mancato un film che lo vedesse protagonista. Anche quest’anno l’attore e regista di Hong Kong, una delle figure cinematografiche che difende con maggior forza l’identità culturale della ex colonia britannica, ha fatto tappa alla rassegna udinese con un lavoro, The Empty Hands, che lo vede autentico factotum: regista, attore, produttore, sceneggiatore in coppia con Erica Lee e perfino action director.
Ciò che colpisce maggiormente in questo secondo lavoro da regista di To è la sua profonda diversità rispetto alle commedie brillanti in cui il regista si è prevalentemente cimentato nella sua carriera e che hanno contribuito a fare di lui uno dei personaggi più simpatici del cinema orientale. The Empty Hands è infatti lavoro che contiene sì diverse stigmate del cinema di azione di Hong Kong, rivisitate però con una certa eleganza e con una particolare prospettiva personale.
Mari è una giovane donna di madre hongkonghese e di padre giapponese, che ha ricevuto da quest’ultimo una rigida educazione rivolta alle arti marziali nipponiche dopo che la madre li abbandonò entrambi. Alla morte del padre Mari si ritrova con il grande appartamento che il genitore usava come dojo, e dove gli allievi scarseggiavano, avviato quindi ad un declino inesorabile. La ragazza scopre che la casa, sulla quale lei aveva già costruito progetti immobiliari per trasformarla in miniappartamenti, è stata lasciata per metà a lei e per metà a Keung, un ex allievo della scuola cacciato dal padre molti anni prima per indisciplina. Alle proteste della ragazza Keung la richiama al rispetto delle decisioni del padre e dopo una fugace e agitata convivenza propone a Mari di cimentarsi in un combattimento al termine del quale se fosse finita in piedi lui se ne sarebbe andato lasciandole la casa. Mari non combatte più da anni, da quando da ragazzina fu sconfitta in un incontro, suscitando lo sdegno del padre. Keung da parte sua ha alle spalle una dura storia di riscatto iniziata con la cacciata dal dojo e culminata in un atto di grande generosità pagato a caro prezzo.
I due, insieme all’unico allievo del padre rimasto fedele, un istruttore muto di karate, si preparano per l’evento, tornando a ripercorrere i passi del duro allenamento che prevede la pratica delle arti marziali giapponesi.
Dicevamo dell’approccio di To alla storia che lascia da parte in larghissimi tratti l’immagine da attore brillante che si porta dietro: nel film non solo l’essenza delle arti marziali (seppur giapponesi) ma anche il valore della lealtà sono ben presenti ma, soprattutto attraverso la figura di Mari, The Empty Hands è pellicola che affronta il tema del passato ingombrante da rileggere, il rispetto per se stessi che Mari da troppo tempo sembra aver dimenticato essendosi impelagata in una storia d’amore con un famoso disc jockey sposato ben poco appagante, e soprattutto la redenzione che passa attraverso l’accettazione della sconfitta.
Il film è costruito con eleganza sorprendente, sia formale che nei dialoghi e nelle situazioni: la prospettiva di To è venata di nostalgia dai colori tenui ma molto ben riconoscibile, una nostalgia che passa attraverso una riflessione sulla Hong Kong di oggi e su quella di ieri. Non manca l’azione, soprattutto grazie ai duri combattimenti nei quali il regista, come detto anche action director, dimostra di conoscere in modo apprezzabile le arti marziali.
Insomma The Empty Hands è lavoro sorprendentemente maturo, che stupisce proprio considerando il background di Chapman To, nel quale quest’ultimo si cala con grande efficacia nel complesso personaggio di Keung, vero catalizzatore del racconto, non disdegnando comunque qualche momento di ironia sincera. Ancor migliore di quella di To risulta la performance di Stephy Tang, premiata come migliore attrice dalla Società dei Critici di Hong Kong, bravissima nel cimentarsi nei panni di un personaggio dalle mille sfumature e dai mille tormenti presenti e passati.

Dopo averci strappato fiumi di risate interpretando personaggi anche al limite del demenziale, possiamo aspettarci da Chapman To anche una carriera da regista capace di sorprendere? The Empty Hands sembra senz’altro un inizio molto più ricco di luci che di ombre.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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