News, recensioni, approfondimenti sul cinema asiatico

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniAsiaThe Handmaiden - Recensione

The Handmaiden - Recensione

The Handmaiden - 2016 - Film - RecensioneSe è vero che i tempi della straordinaria Trilogia della Vendetta sembrano lontani, The Handmaiden, ultimo lavoro di Park Chan-wook, ci regala un regista dalla grande cifra stilistica e ugualmente incisivo

Se Thirst poteva apparire come un lavoro quasi sperimentale nel quale fede e vampiri cercavano una difficile coniugazione narrativa e Stoker una divagazione occidentale con tanto di contorsione stilistica associata, The Handmaiden, proprio alla luce dei due precedenti lungometraggi, conferma in maniera netta ed inequivocabile una sterzata spettacolare nella cinematografia di Park Chan-wook.
Alla luce di ciò va premesso che il film è caldamente sconsigliato agli orfani inconsolabili della Trilogia della Vendetta: ad oltre dieci anni di distanza dall’ultimo capitolo di quello straordinario trittico, Park è un altro regista, inutile ricercare quel cinema primordiale, cattivo, asciutto, ma ricco del suo stile rivoluzionario, perché l’evoluzione di Park ha toccato altri lidi, forse più convenzionali ma non per questo meno apprezzabili. Leggere critiche che rinfacciano al regista di avere dimenticato la Trilogia in favore di uno stanco formalismo estetico fa pensare a certi integralismi cinematografici che nascono dal pensare che un autore debba rimanere sempre uguale a se stesso, pena l’abiura dei suoi fans.
La premessa era d’obbligo perché è alla base delle controversie che The Handmaiden ha ingenerato nel pubblico e nella critica di tutto il mondo, a dimostrazione comunque della considerazione che il regista coreano ha raggiunto, essendo stato, tra l’altro, uno dei pochi registi orientali ad uscire con le ossa intatte dal suo incontro col cinema occidentale.
Ispirato al romanzo Fingersmith della scrittrice gallese Sarah Waters, Park cambia l’ambientazione vittoriana del racconto e la trasporta nella Corea degli anni Trenta durante l’occupazione giapponese, operazione che gli consente di gettare uno sguardo su un periodo storico e su una sanguinosa contrapposizione tra Corea e Giappone che nel cinema coreano degli ultimi due anni è stata finalmente affrontata squarciando il velo di doloroso pudore col quale i coreani tendono a nascondere quell’epoca storica. Sebbene The Handmaiden non sia propriamente un film storico, indubbiamente Park il dito nella piaga della occupazione giapponese ce lo affonda, seppur a modo suo.
Il racconto ruota sulla figura di una ricca e fragile ereditiera (Lady Hideko) che vive in una lussuosa villa per metà in stile inglese e per metà giapponese, sotto la protezione di un grottesco zio erotomane e grande collezionista di opere letterarie a sfondo sessuale, la lettura delle quali allieta le serate di un ristretto gruppo di nobili in cerca di stimolazioni pruriginose. Tra essi il conte Fujiwara, in realtà un impostore falsario di opere d’arte che trama per sposare la ricca Hideko, ricoverarla presso un manicomio ed impossessarsi della cospicua eredità. Per portare a termine il piano si avvale di una giovane ladruncola (Sook-hee) che fa assumere come governante personale della ricca ereditiera affinché possa in qualche modo condizionarne le decisioni. Ma l’incontro tra Hideko e Sook-hee è esplosivo: tra le due nasce un'attrazione che complica i piani e porta il racconto verso lidi diversi da quelli che erano stati pianificati.
Attraverso una tripartizione narrativa, che è anzitutto un racconto per prospettive e punti di vista, Park crea dei grovigli attraverso i quali si capovolgono ripetutamente le certezze che sembrano acquisite; questo comporta una scelta stilistica di salti temporali e di verità nascoste che si scoprono lentamente, come un velo che cade a velocità lentissima fino a scoprire il quadro definitivo. Se da un lato, come detto, il racconto si rivolge spesso ad una contrapposizione nippo-coreana culturale e sociale, dall’altro, ben presto, quelli che sono solo sguardi e piccoli gesti si trasformano in scene di erotismo lesbico patinate sì, ma anche abbastanza esplicite, man mano che compenetriamo il rapporto che si crea tra serva e padrona.
Per ricordarci che comunque lui è l’autore della Trilogia, Park, soprattutto in un sottofinale claustrofobico, non ci fa mancare dita mozzate e torture che fanno da contraltare ai gentili e gioiosi orgasmi lesbici. The Handmaiden è insomma un lavoro ad alta carica erotica (e le due attrici in tal senso danno il meglio di sé...) con venature da thriller psicologico, nel quale il regista coreano, grazie anche alla sapientissima fotografia del fidato Chung Chung-hoon, riesce a raggiungere livelli di qualità stilistica altissimi, senza però mai cadere nel manierismo; semmai - ed è forse l’unico difetto - si respira un certo autocompiacimento, quasi che Park abbia sentito la necessità di confermare con questo lavoro la svolta stilistica avvenuta con Stoker.
The Handmaiden è dunque più Histoire d’O che Old Boy per il suo strizzare l’occhio a certe tendenze sadomaso, ma questo non è certo elemento che ne diminuisca il valore, perché comunque le due ore e venti, soprattutto nella prima parte stimolano la curiosità man mano che la storia, attraverso l’incrocio di prospettive, si avvolge su se stessa. Possiamo quindi definire The Handmaiden troppo 'stiloso'? Probabilmente sì, ma dietro la facciata e compenetrato nella sua impalcatura c’è comunque una opera raffinata e stimolante, sorretta da una regia da maestro.
Kim Min-hee nei panni di Lady Hideko e l’esordiente Kim Tae-ri in quelli di Sook-hee sono semplicemente deliziose, spesso conturbanti e mostrano una sorprendente spontaneità nelle scene di sesso, mentre Ha Jung-woo nella parte del conte Fujiwara si conferma uno degli attori più bravi del panorama cinematografico coreano.

Con The Handmaiden, al termine di un percorso cinematografico personale, Park ha probabilmente messo alle spalle quel cinema fatto di una violenta vivacità interiore quale traspariva dalla Trilogia, ed ha imboccato una strada che forse conduce agli antipodi, quelli di un cinema più strutturato e forse più convenzionale, ma la stoffa del grande regista è la stessa, capace sempre di raccontare storie che non lasciano indifferenti.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

  Vai alla scheda del film
  Trailer del film


Video

Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.