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Office 3D - Recensione (Festa del Cinema di Roma 2015)

Johnnie To porta alla Festa del Cinema di Roma 2015 il suo esordio nella commedia musicale: le tematiche affrontate legate al mondo della finanza sono tutt'altro che originali e trattate con un approccio morale che stona

Per poter inquadrare nella giusta dimensione Office 3D, sbarcato alla Festa del Cinema di Roma 2015, proveniente dal London Film Festival, bisogna considerare quella che è stata finora la carriera cinematografica di Johnnie To: maestro indiscusso del noir made in Hong Kong, paladino della New Wave che segnò non solo il cinema dell’ex colonia ma di tutto un genere e di tutta la cinematografia mondiale, il regista ha da sempre nella sua lunga carriera alternato ai lavori che hanno impresso inconfondibile il marchio d’autore altre opere, generalmente commedie, che invece sposavano più apertamente i gusti commerciali, a maggior ragione negli ultimi anni, da quando molti registi di Hong Kong, volenti o nolenti, hanno dovuto confrontarsi con l’immenso bacino della Cina mainlander.
Office appartiene di diritto a questi lavori, potremmo definirli minori, di Johnnie To. Il film ha tutti i crismi della pellicola costruita per cavalcare l’onda commerciale: grande cast, 3D (diciamolo subito superfluo se non addirittura dannoso), tematiche da commediole che però hanno nel fondo qualche aspetto pedagogico e il traino dell’aspetto romantico. La novità assoluta sta nel fatto che To si cimenta per la prima volta col genere musicale: alcune parti del film infatti presentano inserti canori, seppure in modo non invasivo.
Scritto da Sylvia Chang e prodotto dalla stessa e dal regista, Office si ambienta per larga parte all’interno di una grande azienda finanziaria prossima a sbarcare in borsa: in questo microcosmo si muovono storie di tresche amorose, ambizioni, imbrogli, competitività, squali e pesci pilota, trame finanziarie e coltellate (metaforiche…) sotto il tavolo che avrebbero la finalità di dimostrare in maniera leggera, e tutto sommato ottimistica, quello che è l’ambiente finanziario che il capitalismo, seppure di marca cinese, ha portato con sé con il suo carico di stress, di competitività che va a corrodere quell’anelito alla lealtà e alla morale che è punto fermo della vecchia società cinese e dei film di Hong Kong in genere. Proprio il finale, all’insegna del tutti contenti, anche chi è stato fregato sonoramente, vuole forse segnare la via etica-ottimistica al capitalismo cinese.
Visto nell’ottica della premessa fatta, Office è lavoro che ha anche i suoi pregi, soprattutto nella costruzione delle scene, nell’ambientazione e in particolare nell’uso dello spazio scenico, cosa che To sa fare come pochi: tutto il film sembra ambientato in un open space infinito con labilissimi confini trasparenti, improntato a un minimalismo stilistico colorato, dominato da un enorme orologio che detta inesorabilmente il tempo.
Come esercizio stilistico, insomma, Office ha il suo fascino cui il 3D non aggiunge nulla risultando anzi superfluo. Nella sua valutazione più complessiva però, la pellicola risulta debole nella storia, nelle situazioni, nelle dinamiche un po’ troppo scontate e nel suo messaggio di fondo improntato all’ottimismo.
Il cast è di quelli da film a budget illimitato: Chow Yun-fat, Sylvia Chang, Eason Chan e Tang Wei, solo per citare i più noti, sono garanzia di sicuro successo commerciale che permetterà al film di raggiungere l’obiettivo. D’altronde lo sapevamo, per i registi di Hong Kong quello di cercare successo e denaro nella Cina continentale è diventata anzitutto una necessità.

C’è da sperare, e ne siamo sicuri, che, come ha sempre fatto, al film commerciale Johnnie To faccia seguire un lavoro più intimamente personale che lo riporti nel genere a lui più consono cui appartengono tutti i suoi capolavori.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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