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Father and Sons - Recensione

Abbozzo di storia raccontata secondo i rigidi dettami ideologici del regista, Father and Sons, pur nella sua conclamata incompiutezza, lascia trasparire la straordinaria poetica cinematografica di Wang Bing

“Quello che cerco di fare è trasformare la vita reale in immagini e suoni. Attraverso il cinema vorrei immortalare questo o quel segmento della vita di tutti i giorni. Io sono interessato all’individuo all’interno della società cinese e voglio raccontare le sue storie specifiche e concrete”.
Questo è il manifesto del cinema di Wang Bing, ribadito nel corso di una recente intervista, cui il regista cinese si è mantenuto rigidamente fedele fin dal 2003, anno in cui il suo monumentale Tie Xi Qu: West of the Track si impose come straordinaria ed unica opera cinematografica.
Forte di questa convinzione, Wang Bing gira l’immensa Cina e racconta ciò che vede: dall’inospitale e terribile Deserto del Gobi alle fredde regioni del Nord, dal montuoso Yunnan al confine con la Birmania a Shanghai, dove girerà il prossimo lavoro.
Durante il suo peregrinare nello Yunnan, divenuto fonte inesauribile personale di storie negli ultimi anni, proprio mentre girava Three SistersWang Bing ha incontrato un’altra di quelle storie che accendono la sua sensibilità di grande narratore per immagini: così prende forma Father and Sons (in originale Fu yu zi), documentario che nasce da una collaborazione con la Galerie Paris-Beijing (che ha supportato finanziariamente il film, nonché le serie fotografiche Father and Sons e Man with no Name, realizzate dal regista tra il 2013 e il 2014, oggetto di una mostra nelle sedi della galleria a Parigi e Bruxelles). E' la storia di un uomo che lascia il suo villaggio e si reca nella città di Fuming a lavorare in una delle tante fabbriche che trasformano le pietre in polvere. Dopo qualche anno viene raggiunto dai due figli maschi adolescenti che vivono con lui in uno squallido tugurio concesso loro dalla proprietà della fabbrica.
Ma Father and Sons è un film abortito, perché dopo qualche giorno di riprese, il proprietario della fabbrica minaccia la troupe e l’operaio, con sistemi che è facile immaginare, e Wang Bing è costretto a lasciare incompiuto il suo lavoro, potendo attingere a solo poche ore di girato per mettere insieme la ora e mezza scarsa di documentario.
Il film è tutto in un piano fisso che inquadra l’interno del tugurio: l’ombra del padre che si staglia sulla parete, i due figli adagiati su un giaciglio, una televisione che non si vede mai ma che fa da ossessiva colonna sonora del film, i cellulari perennemente in mano ai ragazzi, alcuni cani che paciosamente dormono negli angoli dell’angusta dimora che per loro però è come una reggia, movimenti praticamente nulli, dialoghi assenti, una sola immagine esterna che inquadra gli enormi palazzoni di cui le città di provincia si dotano per far fronte all’aumento straordinario degli abitanti in cerca di fortuna, la luce che filtra dall’unica apertura del tugurio e che ci segnala il passare del tempo. Father and Sons è questo: un occhio buttato fugacemente, obtorto collo, in una stamberga dove la vita di una famiglia disgregata vive il suo presente nella Cina dei miracoli.
Wang Bing ritorna sul tema dell’abbandono dei figli per la necessità di emigrare per lavoro, aspetto che ha una forte impronta autobiografica visto che il padre del regista lasciò il figlio adolescente nelle mani del nonno per andare a cercare fortuna e morte in città, nello stesso modo in cui fece con Three Sisters, anche se qui siamo quasi ad un passo successivo della storia paradigmatica di tante famiglie e disegna il consueto ritratto di uno spicchio di popolazione che vive nell’ombra, mestamente, quasi rassegnata a vedere il benessere scorrergli davanti senza possibilità di catturarlo.
La semplicità con cui Wang Bing riprende è il suo marchio d’autore e sebbene il materiale cui ha potuto attingere mostri ancora un minimo di imbarazzo iniziale nei protagonisti, il regista si affida a quanto la realtà sa offrire naturalmente: le luci, le ombre, i suoni e i silenzi.

L’aspetto che più stimola in Father and Sons è l’immaginare cosa sarebbe potuto diventare se il regista avesse avuto le sue ormai leggendarie centinaia di ore di filmato su cui lavorare: così come giunge a noi è un grezzo ed incompleto esempio di come si possa narrare la vita delle persone, la vita vera, quella sporca e durissima, rimanendo fedeli ad una ideologia cinematografica rigorosa che fa di Wang Bing uno dei più grandi registi contemporanei.

Leggi il nostro speciale dedicato a Wang Bing


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

  Vai alla scheda del film
Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

2 commenti

  • Marco Quintiliano
    Marco Quintiliano Martedì, 17 Febbraio 2015 22:10 Link al commento Rapporto

    Non credo si trovi... Ricordo che alcuni film di questo regista cinese (un po' ostico devo dire) furono trasmessi su Fuori Orario su RaiTre, chissà forse potremo vederlo grazie Ghezzi.

  • gege80
    gege80 Martedì, 17 Febbraio 2015 18:47 Link al commento Rapporto

    ma si trova da qualche parte? ho cercato ma non ho trovato tracce di dvd o simili...

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