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Angels Wear White - Recensione (Venezia 74 - In concorso)

Opera seconda alla regia per la produttrice e sceneggiatrice cinese Vivian Qu, che dimostra maturità e impegno civile nel filmare un'umanità capace di tutto, anche di acquistare la verginità di due bambine

Mia è l'inserviente di un hotel in una cittadina di mare. Una sera la sua collega le chiede di coprirla alla reception e qui riceve un noto uomo d'affari della zona di mezza età accompagnato da due bambine. Questo richiede due stanze e subito dopo essere giunti l'uomo entra in quella delle bambine sotto lo sguardo della ragazza dalle telecamere di sicurezza. Il giorno dopo Xin e Wen, le due ragazzine, accusano dei problemi di salute e un esame in ospedale rivela che sono state vittime di violenza. A fronte della denuncia dei genitori, la polizia indaga e arriva da Mia, la quale nega di avere visto quella sera qualcosa di sospetto. Mentre comincia l'incubo famigliare di Wen che la porta ad allontanarsi dalla madre, per andare a vivere dal padre, e mentre Hao, la combattiva avvocatessa delle bambine, cerca di scoprire la verità, la giovane lavoratrice dell'albergo vuole ricavare il massimo profitto dalla situazione al fine di potersi comprare una carta d'identità in quanto profuga. In un lento spingersi nei peggiori meandri dei meccanismi della società cinese, chi otterrà qualcosa, sarà chi ha già tutto, mentre a Mia non rimane che prendere una decisione radicale per la sua esistenza. 
Angels Wear White è un film costruito per sommatoria. Passo dopo passo, l'incastro narrativo scritto e diretto da Vivian Qu si aggiunge con piccoli tasselli di verità che conducono alla visione dell'orrore della Cina di oggi in cui tutto è acquistabile e tutto è possibile. È infatti comprabile la verginità di due ragazzine di dodici anni con il pagamento di una stanza d'albergo e quattro birre; si può tentare di corrompere, inoltre, con un iPhone 6 il silenzio del padre di una di queste bambine; è possibile infine acquistare abbastanza facilmente un'identità falsa. In questa graduale sommatoria di acquisizione di consapevolezza, però, la regista cinese non è totalizzante nel far emergere il lato negativo della storia, bensì struttura il suo film in un bilanciamento tra bene e male. Da un lato quindi c'è la malvagità. Questa non ha il volto dell'uomo che abusa delle ragazzine, perché alla regista interessa più ciò rappresenta che la sua immagine; al contrario il male ha corpo e voce dei ragazzi appartenenti a una banda criminale che adesca ragazze disagiate per prostituirle. Il bene, in opposizione, ha soprattutto la forza e la tenacia dell'avvocatessa delle bambine abusate, Hao (Shi Ke) loro unico baluardo di fiducia. Una forza benevola appartiene anche al padre di Wen (Meijun Zhou)Meng Tao (Le Geng) il quale, costretto improvvisamente a fare il genitore dopo che la figlia è scappata dalla violenza, dalla noncuranza e forse anche dall'invidia della madre, deve difendersi dai tentativi di corruzione del funzionario che ha abusato di lei. Poi c'è Mia (Qi Wen). Lei si muove tra queste due entità, perché non può far altro, assumendo, nella visione di Vivian Qu il ruolo di testimone e vittima. È l'unica che sa realmente cosa è accaduto quella sera in albergo, ma non può rivelarlo perché nel giogo del suo status di profuga senza identità. Ciò la costringe a sguazzare nel male, in una 'buona' malvagità come spiega lei stessa nella parte finale della pellicola. Qui narra all'avvocatessa il passato da cui è in fuga, fatto, probabilmente, di violenze, e come sia costretta nel presente a essere vittima, schiacciata dalla piega di ingiustizia della vicenda narrata nel film. Con questo incastro narrativo Vivian Qu sembra comunicare al pubblico un possibile legame di comune destino e tra la ragazza protagonista e le due ragazzine in quanto si muovono nel medesimo contesto di deriva sociale. Rimane quindi un sogno, una folle speranza della protagonista poter essere leggera e disincantata come l'enorme statua di Marylin Monroe, posta sulla spiaggia della città, che la accompagna smontata lungo l'autostrada di un futuro migliore.

Vivian Qu filma, quindi, Angels Wear White imputando la responsabilità di aver corrotto il mondo delle ragazze agli adulti, come testimoniano sia la bramosia del funzionario stupratore, sia l'ipocrisia dei genitori di una delle ragazzine che la madre di Wen, più impegnata a pensare al suo benessere, alla sua vita che all'educazione della figlia. Visivamente ciò si traduce in una regia quasi documentaristica, imparziale e cruda che conduce lo sguardo del pubblico a osservare luoghi silenziosi, asettici e volti dei protagonisti segnati da un perenne stato di tristezza. Questa è la forza e il valore di questo film che si accresce grazie alla piccola breccia di amore rintracciata in quella piccola parte di indifesa umanità che continua a combattere e sopravvivere. 


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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