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Far East Film Festival 2013: tutto sulla quinta giornata

Anthony Wong nei panni del maestro Ip Man, il kolossal The Guillottines di Andrew Lau e il cinema horror di Hideo Nakata hanno animato la quinta giornata del Far East Film Festival di Udine. Dalla Cina Design of Death di Guan Hu

My Sassy Hubby del regista di Hong Kong James Yuen occupa la mattinata di questa quinta giornata del 15esimo FEFF di Udine: commedia romantica raccontata con brio e divertimento secondo i più classici canoni della commedia hongkonghese. La storia gira intorno ad amori che si frantumano, diversivi consolatori e pezzi che vengono rimessi insieme, il tutto all'insegna di un banale concetto di convivenza: accettare l'altro e guardarsi in se stessi per scoprire quello che siamo. Tema indubbiamente di facile presa, ma raccontato con garbo, ironia e soprattutto ritmo, grazie a dialoghi fitti, al limite della logorrea ma che strappano non poche risate. Risultato buono anche grazie alle convincenti prove recitative.

Design of Death del cinese Guan Hu, giustamente ricordato soprattutto per il bellissimo Cow, visto quattro anni or sono alla Mostra del Cinema di Venezia, si conferma come lavoro tra i più belli ed intensi dell'ultimo anno: la lotta spietata in uno sperduto villaggio di montagna tra lo 'scemo del villaggio' e i compaesani preoccupati per la scarsa capacità di adattamento dell'uomo al conformismo della comunità. Buoni ritmi soprattutto all'inizio, qualche sprazzo di cinema che si ammanta di colori visionari, personaggi da fantasy e un giallo da risolvere, prima di giungere ad un finale che, seppur tirato un po' troppo per le lunghe, convince.

Ancora un regista di Hong Kong, niente meno che Andrew Lau, regista di The Guillotines, film che era tra i più attesi della stagione cinematografica cinese, sfarzoso 3D (non qui ad Udine) con livrea da kolossal. Racconto storico epico di epoca Qing che narra la fine delle tradizionali tecniche di guerra cinesi per fare posto a cannoni e fucili, con sullo sfondo, in abbondanza, i temi della fedeltà e della fratellanza, della lotta tra Han e Mancesi e una apologia della pacifica convivenza, quasi di stampo biblico. Il grande cast e l'indubbio livello tecnico consentono al film di farsi comunque apprezzare, sebbene non manchi qualche difetto.

Forse il più atteso evento del festival si materializza in serata con Ip Man: The Final Fight di Herman Yau, biografia della tarda vita del grande maestro, calata però con grande coerenza in un contesto storico quasi nostalgico che vuole riportare a galla la Hong Kong del dopo guerra, i suoi costumi, i gravi problemi e la vita sociale, oltre naturalmente alla passione per le arti marziali e il grande sviluppo che ebbero. La figura di Ip Man è magnificamente sublimata nella sua aura di maturità da una grande prova di Anthony Wong. Non mancano i combattimenti, coreografati con stile molto classico, quasi da film anni '70-80. La sala decreta al film una ovazione e il giudizio, in effetti, non può che essere positivo, proprio per quella prospettiva sfaccettata su cui è costruito.

Naturalmente non poteva mancare la delusione di giornata che diventa ancora più pesante se porta la firma di Hideo Nakata: il suo The Complex è un film che fatto da altri avrebbe anche potuto ricevere un giudizio appena sufficiente, ma dall'autore di Ringu e di Dark Water è lecito aspettarsi altro. Storia di rimorsi e solitudine che prende corpo in presenze errabonde e senza pace, il film non offre nulla che possa farci credere che la china imboccata da Nakata da qualche tempo non sia di quelle pericolose; mancano i lunghi capelli sugli occhi, ma i soliti trucchetti ci sono tutti, dai rumori sinistri alle luci lampeggianti, dagli occhi bianchi alle case cariche di presenze.
Peccato proprio perché l'attesa di un ritorno a livelli accettabili da parte di Nakata era forte.

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